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Losacco: la postura passiva dell’Italia in un’Europa senza ambizione

28 Giugno 2025

Articolo di Alberto Losacco su “la Gazzetta del Mezzogiorno"

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Nel pieno della nuova fase di consolidamento della NATO – sempre più modellata sulle direttrici tracciate da Donald Trump – l’Europa è l’ospite silenzioso, e spesso sottomesso.

Il nuovo obiettivo del 5% del PIL in dieci anni trova sponda e consolidamento nel piano di riarmo europeo promosso da Ursula von der Leyen. Ma entrambi i progetti presentano un grave limite: non rafforzano l’autonomia strategica dell’Europa.

Eppure i numeri parlano chiaro. Già oggi, i paesi dell’Unione europea spendono complessivamente circa 546 miliardi di dollari l’anno per la difesa. Con la Gran Bretagna si arriva a oltre 700 miliardi: quanto la Cina, molto più della Russia, che si ferma a 462 miliardi. Se queste risorse fossero coordinate, l’Unione europea sarebbe la seconda potenza militare mondiale, subito dietro gli Stati Uniti.

Ma a differenza di questi ultimi, l’Europa non ha né una dottrina comune né un comando condiviso, né una centrale unica degli acquisti, né politiche condivise per lo sviluppo in innovazione e ricerca.

Ciò fa sì che l’aumento delle nostre spese significherà acquisti dalle industrie che possiedono le tecnologie più avanzate, a partire proprio da quelle americane. Con l’effetto che si spenderà di più, senza guadagnare simultaneamente in capacità di deterrenza.

È quello che gli analisti del settore stanno già registrando. Da quando gli Stati hanno iniziato ad aumentare le voci per la difesa per i propri bilanci, il costo degli armamenti è salito. La legge della domanda e dell’offerta ha fatto il suo corso: se tutti acquistano nello stesso momento, i fornitori alzano i prezzi. Con un unico acquirente europeo, questo effetto si mitigherebbe. Si otterrebbero economie di scala, maggiore potere contrattuale e standardizzazione dei sistemi.

L’attuale impostazione, sposata dalla Commissione europea e dal governo Meloni, rinuncia a una vera ambizione europea. L’Italia, in particolare, ha scelto una postura passiva, incapace di proporre una visione nazionale inserita in una strategia continentale. Mentre la Spagna di Sánchez prova a rilanciare il proprio peso strategico, ponendo questioni sulla sostenibilità economica e sull’efficacia di tale strategia, noi ci limitiamo a obbedire.

Il caso dei satelliti lo dimostra. La legge approvata di recente in Senato sull’economia dello spazio, apre alla possibilità di affidare un settore strategico per la sicurezza nazionale a soggetti esterni come la Starlink di Musk, rinunciando in partenza a un ruolo delle industrie italiane e europee. 

Non aiuta, in tal senso, la strada fin qui seguita dalla Commissaria europea. Non basta dire “più Europa” a parole: servono atti concreti. Accanto al pilastro europeo della NATO, occorre una politica comune europea per la difesa, con un debito comune, una strategia industriale europea, un comando operativo unificato.

Così come occorre - parallelamente- un piano europeo per la sicurezza sociale, capace di assorbire gli shock economici generati dalle crisi internazionali. Senza questo bilanciamento, le spese militari rischiano di alimentare tensioni e populismi, diventando un facile bersaglio per chi contesta la legittimità delle politiche per la nostra sicurezza.

La difesa comune, invece, aiuterebbe l’Europa affrontare le proprie priorità strategiche: certamente il fronte orientale, ma anche quello meridionale, con un Mediterraneo attraversato da numerose faglie di tensione e cruciale per la sicurezza delle nuove fonti energetiche che hanno progressivamente sostituito la dipendenza dalla Russia.

Con l’euro, abbiamo avuto il coraggio di superare le banche centrali nazionali. Abbiamo unificato la moneta e affidato a un’unica istituzione sovranazionale la sua gestione. Perché allora non si ha oggi lo stesso coraggio con la difesa? Eccolo il frutto avvelenato della destre, l’eterogenesi dei fini di chi promette maggiore sovranità ai cittadini ma nei fatti gliela sottrae.

In questo momento, è evidente quanto manchi alla leadership europea una figura capace di visione e coraggio come fu David Sassoli durante la crisi pandemica. Il piano Next Generation EU nacque dalla volontà di affrontare insieme una sfida epocale. Oggi servirebbe la stessa determinazione. E in un momento in cui l’Europa dovrebbe assumere un ruolo da protagonista, è inaccettabile che la Commissione rinunci all’ambizione di un’Europa più forte, più unita e con un vero ruolo nel mondo.


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