Ciò che ha detto Merz è gravissimo: ha legittimato apertamente l’uso della violenza extralegale da parte di uno Stato terzo, definendola necessaria, utile, funzionale alla sicurezza dell’Occidente.
È in questo punto che il discorso di Merz crolla eticamente, giuridicamente e politicamente. Perché non solo si pronuncia un ringraziamento pubblico verso chi viola ogni norma internazionale; lo si fa sulla base di una presunta minaccia — quella nucleare iraniana — mai dimostrata. Non lo dice un’opinione qualunque, lo ha chiarito con precisione il direttore generale dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, Rafael Grossi: “Nessuna prova che l’Iran si stesse dotando di un’arma nucleare”. E ancora: “Non abbiamo osservato prove che indichino un movimento strutturato verso la produzione di armamenti nucleari da parte dell’Iran.” Una dichiarazione netta, verificabile, autorevole. Eppure, davanti a questo dato di realtà,
Merz non solo ignora il diritto internazionale, ma anche i fatti. Sceglie la menzogna funzionale alla guerra. Sceglie la narrazione costruita sulla paura, la più vecchia delle strategie politiche. La Germania, attraverso la voce del suo cancelliere, ha pronunciato una frase che degrada la parola “sicurezza” a puro pretesto per delegare ad altri la violenza. E lo fa con un’espressione cinica: “lavoro sporco”. Ma quale sarebbe, in concreto, questo lavoro? Gli ultimi due anni hanno mostrato con chiarezza cosa significhi, oggi, quando Israele agisce “per conto” dell’Occidente. Gaza è stata trasformata in un territorio devastato. Più di cinquantamila civili palestinesi sono stati uccisi, in gran parte donne e bambini. Ospedali, scuole, edifici residenziali, rifugi umanitari, convogli alimentari: nulla è stato risparmiato. Centinaia di migliaia di persone sono state sfollate forzatamente, mentre le infrastrutture essenziali — elettricità, acqua, sanità — sono state deliberatamente distrutte. Luoghi sacri come la moschea di Al Aqsa sono stati ripetutamente invasi. Minori arrestati, detenuti senza processo, sottoposti a torture e umiliazioni. Ogni giorno che passa, Israele agisce in totale disprezzo del diritto umanitario internazionale. E l’Europa tace. O peggio: ringrazia.
Non si tratta più di ambiguità o passività. Siamo di fronte a una vera rivoluzione morale dell’Occidente. Un’inversione profonda e irreversibile: dalla centralità del diritto al primato della forza. E non è un processo cominciato oggi. Affonda le radici in un decennio di regressione culturale, in un clima politico segnato dall’epoca di Trump — l’epoca dei gesti plateali, della dimostrazione machista di potenza, del disprezzo per il diritto e per la complessità. Un tempo dominato dalla retorica dell’arroganza, dalla cancellazione del linguaggio diplomatico, dalla normalizzazione dello scontro culturale come motore della politica. Il lascito della strategia di Steve Bannon, costruita sullo smantellamento dei valori liberali e sull’alimentazione costante del nemico interno ed esterno, è ancora tra noi.
Oggi ne vediamo le conseguenze: leader europei che non temono più di mostrarsi brutali, muscolari, sbrigativi, pronti ad approvare guerre per procura e bombardamenti selettivi, senza imbarazzo e senza prove. È questa l’identità che vogliamo per il nostro Occidente? È questa la cultura politica che ereditiamo: un continente che ringrazia chi massacra, purché lo faccia per nostro conto, fuori dal nostro campo visivo? Un’Europa che dimentica tutto ciò che l’ha resa possibile — la civiltà del diritto, del limite, della memoria — per somigliare sempre più al suo contrario?
Perché io, oggi, non vedo alcuna differenza morale tra il fondamentalismo iraniano e quello israeliano. Il primo opprime il proprio popolo, nega diritti fondamentali, perseguita dissidenti e donne. Il secondo bombarda indiscriminatamente, uccide civili, colonizza territori, distrugge città, imprigiona minori, rastrella fedeli nei luoghi di culto. La violenza prende forme diverse, ma la logica è identica: sopprimere l’altro in nome della paura. Lungi da me il voler minimizzare le atrocità del regime iraniano. Ma i numeri, i mezzi, la distruzione sistematica operata da Israele negli ultimi anni sono su scala ben più ampia, permanente, impunita. E ciò che rende tutto ancora più inaccettabile è che un capo di governo europeo — e non uno qualunque, ma il cancelliere tedesco — si faccia oggi portavoce di questa nuova normalità.
Una Germania che, con la propria storia sulle spalle, dovrebbe essere la prima a rifiutare la guerra preventiva, la prima a proteggere le istituzioni internazionali, la prima a dire che il sangue non si delega. E invece, oggi, Friedrich Merz lo accoglie, lo giustifica, lo rivendica. È una sconfitta culturale, politica, storica. Io non ci sto. Io non sono parte di quel “noi” che Merz chiama in causa. Io non ho delegato nessun crimine, non autorizzo nessun lavoro sporco, e non accetto che venga compiuto in mio nome. Se Friedrich Merz vuole il sangue, lo chieda per sé. Lo faccia apertamente, se ne assuma la responsabilità, ma lasci fuori la coscienza civile di chi ancora crede che il diritto venga prima della forza. Perché se rinunciamo anche a questo, non avremo più nulla da difendere.