La riforma costituzionale che si sta discutendo in Senato e che sta portando avanti la destra al governo non serve al Paese, anzi rischia di indebolire la democrazia e le istituzioni.
Il premierato nella versione meloniana è un sistema sconosciuto nel mondo delle democrazie liberali che metterebbe in discussione gli equilibri costituzionali senza risolvere i problemi che rendono il nostro sistema sempre meno capace di rispondere in tempi ragionevoli ai bisogni di oggi e di domani e, quindi, sempre più distante dai cittadini. Non si interviene sul bicameralismo perfetto, che rende infiniti i tempi per l’approvazione di una legge, né si migliorano gli strumenti di democrazia diretta, introducendo il referendum propositivo; non si introduce la sfiducia costruttiva.
In realtà, si mette tutto nelle mani di un Premier eletto direttamente dai cittadini che per cinque anni avrebbe pieni poteri con scarsi contrappesi e che garantirebbe una stabilità forzosa; la gestione di un potere quasi assoluto e non certo, come dimostrano le Regioni il cui Presidente è eletto direttamente, l’automatica soluzione dei problemi e il funzionamento delle istituzioni.
Insomma, in nome dell’idea dell’uomo forte al comando, non al Governo, la riforma della destra scassa gli equilibri tra i poteri che la nostra Costituzione garantisce.
Non è un caso se, mentre si porta avanti il premierato, contemporaneamente si tenta di mettere in discussione l’autonomia della magistratura: è evidente la volontà di mettere in discussione e cambiare il ruolo e il peso dei poteri dello Stato tutto a vantaggio di chi comanda.
In particolare, questa riforma umilierebbe il Parlamento. Il potere legislativo, infatti, sarebbe costantemente sottoposto al ricatto di un Premier che avrebbe il potere di sciogliere il Parlamento e di fatto si ribalterebbe il rapporto: non sarebbe più il Premier a dover rispondere al Parlamento ma il Parlamento ad essere condizionato dalla volontà del Governo se non vuole essere sciolto. Ancora di più, il premierato ridurrebbe in modo significativo il ruolo del Presidente della Repubblica, che non avrebbe più il potere di nomina dei Ministri né la possibilità di intervenire nelle crisi istituzionali guardando all’interesse del Paese.
Si colpisce la figura che rappresenta l’unità nazionale, in cui tutte le cittadine e i cittadini si riconoscono a vantaggio di un Premier eletto da una parte degli italiani.
E proprio qui c’è l’altro grande rischio che si correrebbe con la riforma proposta dal Governo: indebolire ulteriormente l’unità del Paese fondata su valori condivisi.
La stessa narrazione che racconta di un leader eletto dal popolo che per cinque anni comanda rende evidente come questa strada, insieme all’Autonomia differenziata di Calderoli, divida il Paese.
Se si riducono le funzioni e il ruolo del Presidente della Repubblica e, insieme, si spiega che chi vince per cinque anni fa ciò che vuole e chi perde non deve disturbare il manovratore, è evidente che si riducono gli spazi di unità, le possibilità di riconoscere un terreno comune, tanto più in una realtà in cui l’alto numero di astenuti limita il consenso anche di chi vince.
Anche per questo, perché divisiva, non è questa la riforma della costituzione che può restituire ai cittadini fiducia nella politica e nelle istituzioni. Non è questa riforma che può rispondere alla crisi della democrazia e farla funzionare meglio.
Insomma, quella del premierato è una riforma sbagliata e pericolosa che stravolge gli equilibri garantiti dalla nostra bella Costituzione, divide il Paese e non rafforza le istituzioni nella loro capacità di dare risposte e rappresentare gli italiani.