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Braga: Giornata internazionale della donna. Una questione di democrazia e giustizia sociale

08 Marzo 2024

In quasi ottant’anni di Repubblica, nelle Aule di Camera e Senato sono nate piccole e grandi conquiste o sono stati recepiti e definiti i cambiamenti già in atto nella società. Proprio qui si sono fatte alcune delle leggi che hanno cambiato il nostro Paese e la vita di milioni di donne e di uomini in ogni ambito, dalla famiglia al lavoro, dalla politica alla società. Qui è morto il delitto d’onore ed è nato il divorzio; qui per la prima volta sono state tutelate le madri lavoratrici; qui è scomparso il capofamiglia maschio; qui lo stupro è diventato delitto contro la persona e non più solo contro la morale; qui la piaga degli aborti clandestini è stata finalmente arginata. Le battaglie delle donne fuori dal Parlamento, negli anni settanta e ottanta hanno portato a conquiste che hanno fatto progredire l’intera nostra democrazia: leggi e riforme che hanno rafforzato la nostra Repubblica democratica dando concretezza a quell’articolo 3 della Costituzione così caro, non a caso, alle madri costituenti: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali di fronte alla legge senza distinzione di sesso”. E in queste Aule oggi stiamo combattendo la difficile battaglia contro i femminicidi, già 17 dall’inizio dell’anno. Ce l’hanno ribadito con più forza le centinaia e migliaia di giovani, donne e uomini che si sono ritrovati in piazza lo scorso 25 novembre per Giulia Cecchettin e per tutte le altre donne, amiche, compagne, sorelle, mogli, madri. Noi come istituzioni dobbiamo saper rispondere a quelle voci fornendo gli strumenti legislativi per garantire giustizia ed efficacia ma anche favorire, accompagnare la società a una vera e propria rivoluzione culturale, con un’educazione alla tolleranza, al rispetto delle diversità; una vera trasformazione intellettuale che superi stereotipi e pregiudizi maschilisti, ad iniziare dal linguaggio, da quella prova di maturità che tante, troppe volte suscita ironia anche tra noi donne. Il linguaggio, la sua storia non è neutro ma sottende una visione politica per cui non c’è infermiera se non c’è sindaca e non c’è maestra se non c’è medica. Per questo appare ancora più incomprensibile che la prima Presidente del Consiglio donna insista così tanto a voler farsi chiamare signor Presidente. Tre donne ai vertici delle maggiori organizzazioni politiche internazionali, l’Unione Europea, la Bce e il Fondo Monetario Internazionale, fanno certamente la differenza ma quel tetto di vetro, quelle barriere rimangono per tante altre donne: quelle che guadagnano il 30 per cento in meno dei loro colleghi maschi, quelle, 1 su 3, che non dispongono di un proprio conto corrente bancario, quelle, quasi la metà, che non lavorano pur volendolo fare: uno spreco enorme di potenzialità economiche, un danno per la nostra economia, un punto di Pil all’anno in meno. Questo soffitto di cristallo noi lo vogliamo rompere, attuando le leggi che ci sono, promuovendo davvero l’equilibrio di genere nelle società pubbliche o a partecipazione pubblica, anche assumendoci la responsabilità di escludere componenti che si siano macchiati o abbiano avuto giudizi per comportamenti di discriminazione di genere, stalking, mobbing o violenza contro le donne. Nel mondo essere donna è ancora una sfida. Le donne pagano i conflitti e le conseguenze delle guerre più di tutti; c’è un’arma orrenda specifica contro di loro, contro di noi, lo stupro di guerra. Il loro, il nostro corpo è oggetto di una conquista brutale e patriarcale, forse perché dalle donne passano le spinte democratiche in molte zone della terra, dalla Bielorussia all’Iran, dalla Russia all’Afghanistan. Tanti passi in avanti sono stati fatti, altri vanno ancora compiuti: lo sanno bene tutte quelle donne sulle quali ancora grava principalmente il carico della cura, perché la condivisione non ha preso piede nel nostro Paese. Qualcuno parla di conciliazione, noi invece parliamo di condivisione: dobbiamo condividere il carico del lavoro di cura; abbiamo il dovere di costruire politiche di welfare che vadano in questa direzione. Ecco perché come Partito Democratico chiediamo ancora una volta al Parlamento, a tutte le forze politiche, di maggioranza come di opposizione, di essere uniti in queste battaglie a cominciare dal votare insieme il congedo paritario obbligatorio di cinque mesi per entrambi i genitori. La metà della popolazione non può continuare a subire le discriminazioni che subisce. E’ una questione di giustizia sociale, è una questione di sostenibilità; è una questione di democrazia.


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