«C’è bisogno di riflettere, di approfondire, di tornare a studiare. E c’è bisogno di più donne, in politica ma anche nelle aziende». Sono i presupposti da cui è partita Michela Di Biase, consigliere del Pd in regione Lazio, per fondare l’associazione FARE, che lei ama definire come un «pensatoio» e che è l’acronimo di Femminista, Ambientalista, Radicale, Europeista. «Quattro parole importanti, tutte declinate al femminile», racconta Di Biase. Trentanove anni, ha iniziato dal territorio: due mandati da consigliera municipale all’Alessandrino, il quartiere in cui è nata e cresciuta («fa parte di me, dei mie tratti caratteriali») due in Campidoglio, e ora l’incarico in Regione.
Con FARE ha già organizzato, lo scorso novembre, una due giorni al monastero delle clarisse di Fara Sabina, declinati intorno alla lettera F (presenti, tra gli altri, David Sassoli, Elly Schlein, Elena Cattaneo e Nicola Zingaretti). E ora il nuovo appuntamento è per il 7 luglio alle ore 17 (Guarda il video dell'incontro). In collegamento ci saranno: lo scrittore Alessandro Baricco, l’attivista Lisa Clark, la giornalista Francesca Mannocchi e i filosofi Nuccio Ordine e Umberto Curi. «Il primo appuntamento è stato in un luogo contemplativo, ora ovviamente siamo costretti a riunirci da remoto. Questo ci permette di mettere insieme ospiti che difficilmente riusciremmo ad avere nello stesso posto e alla stessa ora, ma quando si potrà torneremo dal vivo. Il momento della condivisione è importante, al monastero la sera si finiva sempre a suonare la chitarra».
La parola adesso evidenziata è «Radicale».
«Sì, perché c’è bisogno di fare delle scelte radicali, di prendere posizione».
Che cosa significa essere radicali oggi?
«Significa essere coraggiosi. E come atteggiamento radicale mi viene in mente l’elemosiniere del Papa che si è calato in un pozzo per togliere i sigilli e ripristinare la corrente in un palazzo di Roma occupato e abitato da 450 persone. Essere radicali vuol dire avere il coraggio delle proprie azioni, scegliere un punto di vista e portarlo avanti, non ci dobbiamo accontentare delle soluzioni semplici».
Le altre parole sono «Femminista», «Ambientalista», ed «Europeista».
«Femminista perché è necessario difendere i diritti acquisiti ma la strada da fare è ancora lunga per ridurre il “gender gap”. Poi c’è l’Unione Europea perché non si può pensare al contesto italiano senza pensare all’Europa. È lo spazio entro cui bisogna muoversi, quello in cui proiettarsi. E l’ambiente è l’altra sfida importante che coinvolgerà tutte le prossime generazioni. È il tema dei temi, fondamentale per migliorare la qualità della vita. Questi incontri li vorrei proiettare anche nei quartieri della periferia di Roma, all’Alessandrino. Non ci si può riferire alla periferia parlando solo di urbanistica, ma bisogna coinvolgere anche chi quei quartieri li vive».
Quali sono i muri ancora da abbattere?
«Ogni parola hai i suoi. Il femminismo, quelli del patriarcato e della diffidenza. Dico sempre che c’è bisogno di più Mulan e meno Cenerentola. La radicalità si scontra, invece, con la prudenza fine a se stessa, con le scelte comode. A minacciare l’Europa, invece, sono i populismi. L’ambiente, i forti interessi in gioco».
Gli ultimi rapporti ci dicono che con l’emergenza coronavirus è aumentato il carico di lavoro domestico delle donne ed è diminuita l’occupazione femminile.
«Le donne hanno pagato lo scotto maggiore di quest’emergenza: 37 mila neo-mamme hanno lasciato il lavoro, e i carico domestico è aumentato di oltre il 70 per cento. Questo perché in Italia il welfare familiare lo fanno le donne, il sistema poggia unicamente sulla gestione delle donne della vita domestica. Basti pensare che le scuole, in condizioni normali, finiscono a giugno e iniziano a metà settembre. Il covid è stato una lente di ingrandimento rispetto a quello che le donne già vivevano all’interno delle famiglie. Sia in termini di carico di lavoro, sia purtroppo nei casi di violenza. Ed è doveroso continuarne a parlare, non fermarsi solo alle quote rosa. Abbiamo l’idea di marciare in avanti, ma spesso marciamo solo sul posto. Chi è davvero femminista aiuta anche le altre donne a emergere, e sa che anche gli uomini devono contribuire».
Com’è andata a lei durante l’isolamento?
«Come per tutti, è stato complicato, un gioco di equilibri. Mi sono barcamenata tra video conferenze e Irene (5 anni, avuta dal marito Dario Franceschini, ndr) a casa tutto il giorno. Ho spiegato a una bambina ancora piccola cosa stava succedendo, perché non si poteva uscire, né andare a scuola o vedere gli amici».
Che parole ha scelto?
«Le ho detto prima di tutto che bisognava stare a casa per proteggere i nostri nonni, e lei ha capito. Fondamentali sono state anche le amiche con cui ci si ritrovava a fine giornata in videochat».
Un paio di giorni fa una giornalista in collegamento con la BBC è stata interrotta dal figlio che le ha chiesto dei biscotti.
«È successo anche a me. Ero in video riunione e mia figlia mi ha chiesto “mamma, mi prepari un panino con la nutella?”. Dall’altra parte dello schermo qualcuno ha detto “anche a me, anche a me!”».