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Franco Mirabelli: coronavirus, la sanità, il controllo e l'Europa

24 Marzo 2020


"Penso che i numeri positivi degli ultimi due giorni per la Lombardia vadano confermati. Sono numeri che inducono ad un piccolo ottimismo anche perché vengono dopo un periodo congruo da quando sono state introdotte le misure di chiusura delle città, delle Regioni e dai provvedimenti presi dal Governo per chiudere di fatto una parte importante del Paese. C’è qualche risultato, quindi, e speriamo che si confermi.
È importante che questi risultati siano basati sui numeri dei ricoveri, sul numero dei ricoveri in terapia intensiva e sul numero dei morti perché questi sono i dati oggettivi purtroppo e, ad oggi, sono dati che indicano una frenata al trend di crescita del virus che sembrava inarrestabile.
Forse si vede la luce in fondo al tunnel, però, questo non deve spingere nessuno a pensare di rendere meno rigide le regole che ci siamo dati e che abbiamo reso ancora più rigide con l’ultimo provvedimento del Governo, con cui si è chiuso gran parte delle attività produttive che ancora erano aperte.
 
Proprio perché le prime misure, prese una decina di giorni fa, stanno cominciando a funzionare, non bisogna assolutamente ridurre l’attenzione e l’impegno che ognuno si è preso a stare in casa, a ridurre al minimo e soltanto con regole precise i contatti personali.
Proprio perché funzionano vuol dire, infatti, che quelle cose servono e, quindi, vanno mantenute e va continuata l’attenzione a evitare l’unico strumento di trasmissione del virus che è il contatto personale ravvicinato.
Il dato a cui guardare deve essere quello dei morti, dei ricoverati e, soprattutto, dei ricoverati in terapia intensiva perché sono dati oggettivi da cui riusciamo a capire veramente i trend.
Ci troviamo a fare i conti con un virus maledetto che ha forme acute molto gravi e molto dolorose ma ha anche forme più blande e ci sono molti asintomatici.
Questo è uno degli aspetti che rende il coronavirus pericoloso, perché si può averlo senza saperlo e si può trasmetterlo senza saperlo.
Questo è un dato con cui conviviamo dall’inizio ed è la ragione per cui vale la regola di stare lontani, limitare i contatti e stare a casa per non contagiarsi.
Non basta stare lontani da chi ha la tosse: è meglio stare lontani anche da chi non mostra alcun sintomo.
Penso che il Paese sia rispondendo bene a tutto quello che si fa per controllare gli spostamenti.
Se guardiamo a Milano, le persone stanno agendo con grande responsabilità di fronte al virus, però dobbiamo anche impedire che pochi sconsiderati possano mettere a repentaglio la salute di tutti e vanificare l’azione che ormai il Governo sta prendendo da un po’ di tempo, come purtroppo è successo quel sabato notte in cui c’è stato l’assalto ai treni per il Sud.
Per fare questo vanno bene tutti i controlli stabiliti, alle stazioni, in aeroporto, sulle strade, l’utilizzo dei droni. Si usi tutto per fare in modo che pochi sconsiderati non possano mettere in difficoltà un sistema che costa tanti sacrifici al Paese e tanti sacrifici alle persone ma che può funzionare se tutti si comportano con responsabilità.
Credo, però, che sul piano delle sanzioni si debba fare un po’ di più.
Oggi ci sono sanzioni penali che però rischiano di essere eseguite in tempi lunghissimi e di ingolfare le Procure mentre credo che sia giusto pensare ad altri strumenti come possono essere le multe, che oltretutto consentirebbero anche ai vigili urbani di avere una funzione sul controllo del territorio in questo senso e anche pensare, in caso di recidività (cioè chi più volte si rende responsabile di violazioni), al fermo amministrativo.
Tutto ciò che può fare deterrenza e impedire comportamenti sbagliati va fatto.

 

Rispetto al tema della Sanità, è evidente che in Lombardia stiamo pagando il fatto che tutto succede negli ospedali.
C’è una rete territoriale che non ha retto a questa emergenza e, quindi, ci siamo trovati con molte persone che non hanno potuto avere l’assistenza che si può avere a casa piuttosto che in ospedale.
Gli ospedali, purtroppo, come abbiamo visto sono stati anche uno dei luoghi in cui di più si è diffuso il virus.
Credo, quindi, che dovremo fare molte riflessioni sulla Sanità.
È vero che i tagli hanno pesato sulla Sanità pubblica: soltanto nell’ultima Legge di Bilancio abbiamo aumentato gli stanziamenti sulla Sanità.
Hanno pesato sul sistema anche il blocco del turn over e quota 100 perché hanno indebolito e ridotto di molto il numero degli operatori.
C’è, dunque, sicuramente questo ragionamento da fare e ci sono anche altre questioni che dovremo affrontare.
Una questione da affrontare riguarda il fatto che di fronte ad un’emergenza planetaria come questa, non può reggere un sistema sanitario nazionale fatto da 20 sanità diverse, una per ogni Regione, con regole diverse e strumenti diversi.
Questo è uno dei temi che dobbiamo porci perché la Sanità è materia di competenza regionale.
Tutti si rivolgono al Governo chiedendo di intervenire ma la Sanità è competenza regionale e ogni Regione ha fatto scelte diverse, più o meno efficaci dal punto di vista della risposta all’emergenza.
Noi lombardi, che abbiamo una Sanità di eccellenza, forse dobbiamo mettere in discussione un sistema che ha messo l’ospedale al centro del sistema sanitario e ha accentrato tutto negli ospedali.
In questa fase, credo che questo sia diventato un problema: ha pesato l’assenza di una struttura sanitaria territoriale forte e in grado di avere un radicamento; in grado di assistere le persone a casa, come ad esempio fa il Veneto.
In Veneto c’è stata una risposta diversa al virus perché c’è un sistema sanitario diverso che è meno incentrato sugli ospedali e più radicato sul territorio.
Questo forse va pensato anche per la Lombardia perché il fatto di aver destrutturato tutti i servizi sul territorio per concentrare tutto sugli ospedali in questa fase di emergenza ha fatto diventare i presidi ospedalieri dei luoghi dove si diffonde il contagio ma ha anche impedito di fare una serie di cose che avrebbero consentito una gestione migliore della malattia.
I servizi territoriali sono quelli che possono andare a casa delle persone, verificare il contagio, occuparsi delle persone con cui i malati sono stati in contatto, assistere a casa le persone che non hanno forme troppo acute della malattia. L’assenza di questo sistema ci ha penalizzato.
Il tema da affrontare è, quindi, quello di ri-ragionare la Sanità, che abbiamo concentrato sulle aziende ospedaliere, e ricostruire una rete territoriale che oggi non c’è.
La Europa, come tutti noi e come qualunque governante in qualsiasi luogo del mondo, si è trovata spiazzata di fronte ad un virus che non conoscevamo e di fronte ad un fenomeno che non siamo in grado di controllare e che ha prodotto gli effetti che stiamo vedendo ovunque.
Penso che in questa vicenda ci siano due insegnamenti che dobbiamo trarre e che l’Europa deve trarre.
Il primo insegnamento riguarda una questione che abbiamo posto tante volte anche se su questo terreno specifico l’abbiamo approfondita poco: l’Europa non può essere soltanto quella della finanza, dei vincoli burocratici o di bilancio.
Penso che se l’Europa fosse stata anche un grande soggetto capace di costruire una sanità comune, livelli di assistenza comune con una capacità di aiuto reciproco, di mettere in rete grandi capacità di ricerca, di assistenza, di strutture che l’Europa ha, scegliendo il meglio, probabilmente saremmo anche più capaci di affrontare emergenze come questa.
Il secondo insegnamento, che però mi pare si stia già comprendendo, è quello per cui l’Europa deve essere un grande soggetto che di fronte alle difficoltà si unisce e fa scelte coraggiose.
La Presidente della Commissione ha già fatto passi importanti, come togliere da mezzo un patto di stabilità che ci avrebbe costretto a rispettare dei vincoli che oggi non possiamo rispettare perché abbiamo bisogno di liberare tante risorse.
Abbiamo già liberato 45 miliardi (ma non basteranno) per far sì che, appena questo maledetto virus sarà sconfitto, si possa far riprendere l’economia ma soprattutto si possa evitare che questa crisi sanitaria diventi una crisi economica che pesi ancora una volta sulle persone più deboli.
L’altro insegnamento, quindi, è che l’Europa non deve solo fare le pulci ai bilanci ma deve diventare protagonista di una grande questione che è quella di proteggere le persone.
Oggi c’è bisogno di proteggere le persone.
L’Europa deve diventare un soggetto in grado di dire siamo in grado di proteggere le persone in tutto il Continente di fronte alle difficoltà.
Questa è una situazione di grande difficoltà.
Togliendo il patto di stabilità, stanziando molti miliardi come ha fatto la Presidente della Commissione Europea e mettendoci nelle condizioni di dare un aiuto economico all’Italia ma anche a tutta l’Europa -pensando ad esempio agli eurobond - di fronte a questa crisi, mi pare che l’Europa stia assumendo la direzione giusta e stia riuscendo ad interpretare l’eccezionalità del momento.
Per l’Europa questa è una prova decisiva: se l’Europa riesce a rendersi protagonista di questa vicenda e mostrarsi capace di difendere le persone e di non lasciarle sole, si può vincere e diventare più forti dopo questa crisi.
Un’Europa che non riesce a fare questo credo che non serva e rischi di morire.
Spero, quindi, che prevalga la prima opzione.
 
In questa fase, noi parlamentari stiamo lavorando tanto da casa.
Ogni decreto ha suscitato problemi, dubbi, sollecitazioni, richieste e abbiamo fatto il nostro lavoro di rappresentanti delle istanze; abbiamo lavorato con il Governo; abbiamo fatto tantissime riunioni utilizzando i metodi telematici e poi, da domani, ritorniamo in Parlamento.
Da domani si riprende il lavoro in Commissione e poi ci sarà l’Aula e verrà anche il Presidente del Consiglio, sapendo che spostarsi in questo momento è difficilissimo: non ci sono più treni o aerei per cui dovremo andare in macchina a Roma.
In Senato siamo in 315 in un’Aula e, per fare il nostro dovere, ci prendiamo gli stessi rischi che si prendono tanti altri cittadini ma questi non sono problemi secondari e, soprattutto, non sono problemi che possono porre quelli che sono stati spesso assenti, dal momento che risulta che abbiano votato il 10% dei provvedimenti fino adesso, e ora arrivano a spiegare che il Parlamento deve lavorare giorno e notte".

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