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Zanda: Renzi ha sbagliato più volte analisi e continua a compiere errori clamorosi - Intervista de La Verità

23 Febbraio 2020

La sfiducia promossa da un partito di governo è follia. L’Italia è stanca di leader invadenti

Senatore Zanda, la «crísetta» è in corso, e il suo teatro principale è un luogo che lei conosce bene, Palazzo Madama. «Una piccola esperienza nei Palazzi me la sono fatta: circa mezzo secolo. Eh eh eh…».
Lei è stato capogruppo, stratega di battaglie parlamentari. Come si procede?
«I pallottolieri e le conte sono conseguenza delle scelte, e noi dobbiamo prima di tutto chiarirci le idee».
Proviamoci.
«Ad agosto abbiamo formato un governo di coalizione. In una maggioranza composita ogni partito ha il diritto di sostenere le sue idee. Ma queste condizioni impongono soluzioni concordate. Se si inizia con i diktat si entra in un gioco pericoloso».
Italia viva sostiene che sulla riforma della giustizia serve libertà di coscienza.
«Non scherziamo! Se pensano di imporre ultimatum del tipo: “O si fa così o rompo”, la maggioranza finisce».
Addirittura?
«Altro esempio. Sul “Sindaco d`Italia” non si può accettare una imposizione».
E se Renzi prosegue?
«Allora si prenda atto che quella coalizione è finita».
Dice sul serio?
«Ma ovvio: servono contrappesi, funzioni di garanzia. Parliamo anche della più delicata architettura della Repubblica».
Per lei è una posizione strumentale?
«Non mi interessa. Cambiare la Costituzione con un diktat è irresponsabile».
Il suo erede al Senato, Andrea Marcucci, dice: «No ai responsabili e alle ingerenze in Italia viva».
«Una maggioranza difende il suo perimetro. Un capogruppo deve difendere la maggioranza. E rispettare la libertà di mandato di fronte a senatori degni è un obbligo Costituzionale».
Si può arrivare ad una mozione di sfiducia!
«Lo so. Ma non mi fa paura».
Dorme la notte, avendo in mano la cassa del Pd?
«Benissimo».
Riesce a stare dietro a tutto?
«Ho un controllo ferreo. Di questa assemblea posso dirle anche quanto costano i tramezzini».
In che stato ha trovato i conti?
«Il Pd dopo Renzi era oberato da spese correnti e debiti».
E ora?
«Non interpreto il ruolo da contabile: ma quando avrò finito il partito avrà le risorse per assolvere la sua missione politica. Cosa oggi impossibile».
Ritorniamo al Senato. Crede alla mozione di sfiducia su Alfonso Bonafede?
«Sarebbe autolesionismo».
Addirittura?
«Non prendiamoci in giro. Una mozione di sfiducia promossa da un partito di governo contro un ministro è una sfiducia al governo».
Cioè una crisi?
«Ma ovvio! Io ricordo un solo precedente: quello del ministro Filippo Mancuso».
Lo seguii da cronista: il governo non cadde.
«Per forza: cadde il ministro, che aveva contro tutti i partiti e il presidente del Consiglio! Qui è il contrario».
Cioè?
«Un partito che spara sul suo governo con un voto per farlo cadere. Si può?».
E se il governo si salvasse con altri voti?
«Se oltre a oscillazioni fisiologiche cambiasse la maggioranza bisognerebbe andare davanti al capo dello Stato».
E certificare la nascita del famoso Conte ter?
«Se si va da Mattarella decide lui che fare. Ecco a cosa serve un arbitro».
Conte deve chiedere la fiducia o reagire solo a un agguato?
«Non gli do suggerimenti. È uno sveglio».
Da dove viene Zanda?
«Mio padre era un liberale, un uomo di centro».
Lei è nato in Sardegna, cresciuto a Roma.
«Ho fatto il liceo al Tasso. E mi sono laureato a Macerata, tesi In diritto costituzionale sugli atti con forza di legge. Credo di un qualche valore accademico.»
Il suo primo voto?
«Più a sinistra di mio padre: Psdi».
Politica da giovane? «Candidato per l`Ugi».
Primo incarico di rilievo?
«Con Cossiga nel 1974, portavoce di un ministero. Due anni dopo lo seguo al Viminale».
Come era lui all`epoca?
«Uomo strepitoso. Grande carattere, solidità di pensiero, cultura enciclopedica».
La cosa più incredibile che è accaduta nei giorni di Moro?
«I suoi capelli bianchi e la vitiligine, arrivati dopo la notizia del ritrovamento del cadavere di Moro».
Possibile?
«Sì. Fu uno choc. La vera ragione delle dimissioni era che Cossiga si ritrovò schiacciato dal senso di colpa: “Non sono riuscito a proteggerlo”».
Riveli una cosa che non sa nessuno.
«Un giorno il presidente mi chiama e mi dice: “Hai una bella cassaforte nel tuo ufficio? Cì devi mettere dentro questa!”».
E cos`era?
«Una lettera di dimissioni scritta a mano con grande pignoleria».
Prima che accadesse?
«Prima della morte di Moro. Una versione aveva come incipit l`idea che fosse stato liberato. Un`altra che fosse stato ucciso. Una terza immaginava lo scenario di uno scontro a fuoco».
E poi?
«Tutte si chiudevano con lo stesso esito: le dimissioni».
E ora dov`è la minuta?
«Nel dramma di via Fani è accaduto di tutto, non so dove sia finita. Forse è ancora lì, se c`è quella cassaforte. Avrebbe un valore storico inestimabile».
E politicamente?
«Ti spiega come ragionava quella classe dirigente. Altro che oggi!».
Poi lei si ritrova a gestire il consorzio Venezia nuova. Ha lasciato il segno in qualcosa?
«Il Mose è nato quando io presiedevo il consorzio. Ho fatto in tempo commissionare e a far elaborare il progetto di massima e me ne sono andato via».
E lo difende oggi?
«È il più grande e imponente progetto di ingegneria idraulica mai immaginato nella storia. Forse il più bello
Lo dice anche oggi?
«Sull`esecuzione non ho responsabilità: l`idea è ambiziosa e geniale».
E a Lottomatica?
«Ho armonizzato la concessione alle regole europee. Abbiamo combattuto, e quasi debellato il gioco clandestino».
E all`Agenzia del Giubileo?
«Credo che sia il più importante e complesso evento organizzativo degli ultimi decenni che ha avuto un esito positivo».
C`è Expo.
«Gran bella impresa, certo: ma immagina un evento che dura un anno, in tutte le chiese di Roma, nelle proprietà di un altro Stato! Venti milioni di pellegrini e nemmeno un problema».
Più difficile alla Rai?
«Dico solo questo: sono entrato da paladino della televisione pubblica senza se e senza ma. Sono uscito che volevo privatizzare».
Non ci credo.
«Solo adesso ho ritrovato serenità e sono a metà strada».
È stato capogruppo con Renzi e lo ha tradito?
«Non penso che lo possa dire. Non c`è stata questione su cui non gli abbia manifestato lealtà, ma anche la mia opinione. Non lo avevo votato alle primarie e lui lo sapeva: sono stato sempre stato corretto».
Però poi è passato con Nicola Zingaretti.
«Dopo tutti gli errori che ha fatto: ma credo di aver avuto un ruolo decisivo nel garantirgli la maggioranza negli anni del suo governo, fra due nazareni e una scissione».
Quando ha rotto?
«La lealtà non può comprendere la confisca della libertà di pensiero».
Mi racconta un dissapore con Renzi?
«Voleva le elezioni a marzo del 2017, convinto di stravincere».
E lei?
«Non sono d`accordo con te».
Un altro?
«Ero contrario alla commissione sulle banche a ridosso del voto. Lui l`ha pretesa ed è stato un massacro».
Possibile non ci avesse pensato?
«Renzi più volte ha sbagliato l`analisi politica.»
E sul referendum?
«E stato una grave errore la campagna elettorale, impostata populisticamente sul “Tagliamo delle poltrone”».
E poi?
«Subito dopo la sconfitta ha pensato che quel 40% fossero voti suoi. Per me è stato troppo».
E ora come si sta comportando?
«Ha fatto un altro errore clamoroso con la scissione».
Beh, qui la controprova ancora non c`è.
«Eccome! Pensava di prendere i voti a destra e a sinistra, invece è al palo».
Perché?
«L`Italia è stanca di leadership invadenti».
E Zingaretti le va bene?
«Non è certamente un tifoso della linea dell`uomo solo al comando. È molto inclusivo, un vero uomo di centrosinistra. Non è un estremista, non perde mai di vista il posizionamento politico».
Addirittura!
«ln questo momento è prezioso per il Pd».
Non le piace l`idea di Renzi di un governo istituzionale presieduto da Mario Draghi e da Marta Cartabia?
«Suggerisco di lasciarli in pace».
Esagerato.
«So quel che dico. Francamente non meritano di essere tirati dentro per manovre politiche molto infelici e assai poco nobili».
Non pensa a un altro governo?
«Solo se cade questo. E in quel caso scommetterei sul voto».
È sicuro?
«Credo di avere più fiuto di Matteo».


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