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Ilva: possibile nazionalizzazione - di Nicola Corea

08 Novembre 2019


Se non si dovesse trovare un accordo con ArcelorMittal, l’Ilva tornerà ai commissari straordinari, quindi allo Stato e si andrà per vie legali in quella che Conte già chiama “La battaglia del secolo”. Se poi non si dovessero trovare nuovi acquirenti, la nazionalizzazione diventerebbe assai probabile.

Il Ministro delle Infrastrutture Paola De Micheli conferma che l’ipotesi di un intervento dello Stato non è da escludere: “Siamo pronti a tutto per garantire la continuità aziendale di Ilva e soprattutto per non realizzare lo scellerato piano di licenziare più di 5 mila persone”.

Questa è la linea del Governo: sì al dialogo con ArcelorMittal, ma niente ridiscussione del piano industriale, niente riduzione della produzione e niente 5mila esuberi. Al Mise sarebbero disponibili a mettere sul piatto un raddoppio delle casse integrazioni, da 1.200 a 2.500 persone, ma non a discutere un solo licenziamento.

Da Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, arriva la richiesta al Governo di “mettere sul piatto la disponibilità ad entrare nella proprietà, attraverso Cdp”.

Lo stabilimento Ilva è un sito fondamentale per l'intero tessuto industriale italiano e per questo va difeso.

Con l’Unione Europea e l’austerità venne lo Stato minimo secondo i principi neoliberisti. Arrivarono così le privatizzazioni che investirono appieno l’Ilva, passata al gruppo Riva. Era il 1995. Il resto è una storia durata sette anni e della quale, dopo il commissariamento del 2012, non si intravede ancora via d’uscita.

A questo punto, per evitare ulteriori complicazioni, rimane solo una possibilità sul tavolo: la nazionalizzazione.

Non parliamo, infatti, di una piccola realtà familiare, ma dello stabilimento siderurgico più grande d’Europa. Quasi un residuato di archeologia, stante la deindustrializzazione cui siamo soggetti da decenni, che però ha ancora capacità produttive notevoli. Ben 11 milioni di tonnellate di acciaio l’anno, oggi ridotte alla metà. Un fatturato miliardario, più di 8mila dipendenti e almeno altrettanti nell’indotto. Cifre da capogiro che in caso di chiusura costerebbero all’Italia, stando ad un’analisi condotta pochi anni fa dallo Svimez, tra gli 1 e i 2 punti di Pil.

Secondo molti osservatori, tuttavia, lo Stato non ha alcuna possibilità di entrare nell’azionariato dell’Ilva, perché una simile azione verrebbe considerata dalla Commissione Europea un aiuto di Stato e comporterebbe multe elevate per l’Italia, tuttavia, molte nazionalizzazioni sono state approvate da Bruxelles con riferimento ad importanti aziende francesi e tedesche. Dunque, adesso è giusto che anche l’Italia possa beneficiare degli stessi vantaggi concessi agli altri membri dell’Unione.

 


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