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Le ragioni di una piazza e la ragione di esserci - la newsletter di Chiara Braga

11 Febbraio 2019


Può capitare anche a distanza di percepire l’emozione di una piazza che dopo anni torna a unirsi e a riempirsi in nome delle ragioni del lavoro. Quella di sabato in piazza San Giovanni è stata una manifestazione di speranza. Anche se mossa dalle preoccupazioni e dalla contrarietà alle scelte economiche sbagliate e pericolose di questo Governo la voce unitaria di Cgil, Cisl e Uil parlava di futuro e di diritti. Esprimeva, come giusto che sia, insieme alle critiche, una forte richiesta di ascolto e una disponibilità al confronto che mi auguro venga recepita da chi oggi ha la responsabilità di guidare il nostro Paese. Certo, a giudicare dalle reazioni sprezzanti dei leader politici di Lega e M5S e dai commenti di molti esponenti di Governo, non c’è da aspettarsi granché. “Uscite dalla realtà virtuale dei social e venite qui a vedere la vita vera!” è stato l’appello della segretaria della Cisl Annamaria Furlan a conclusione della manifestazione. I sindacati hanno chiesto alla maggioranza e al Governo risposte su crescita e investimenti, mettendo al centro delle rivendicazioni la dignità e la sicurezza del lavoro, la necessità di politiche davvero efficaci per sconfiggere la povertà, la lotta alle diseguaglianze generazionali e di genere, la centralità di politiche orientate alla sostenibilità sociale e ambientale. Tutti temi urgenti e centrali che investono un Governo che sta colpevolmente dissipando i risultati degli italiani raggiunti in questi anni, portandoci in pochi mesi alla recessione e sull’orlo di una nuova crisi economica e sociale, ma che interrogano anche noi, il PD, e non da oggi. Conosco bene la fatica e rivendico con orgoglio il lavoro fatto negli scorsi anni dai nostri Governi per aiutare il Paese a rialzarsi dalla crisi, per rimettere in moto investimenti pubblici, per sostenere la crescita di settori strategici, per provare a dare nuove risposte in termini di tutela e di diritti a un mondo del lavoro in profonda trasformazione, per introdurre il primo strumento universale di contrasto alla povertà con il Reddito di Inclusione. Ma so anche che non abbiamo fatto tutto bene, che non tutto è stato fatto nei tempi e nei modi giustie che riconoscerlo non significa fare "abiura" ma semplicemente provare a interrogarsi su come correggere la rotta e ripartire.  Tra i limiti oggettivi della nostra stagione di governo - più acuti in alcuni momenti che in altri - a mio avviso c’è senz’altro quello di aver manifestato un’insofferenza al confronto con i corpi intermedi e con le forze associate del mondo del lavoro, marcando una linea di divisione e di contrapposizione tra i “riformatori” (noi) e i “conservatori” (loro). Questo ha provocato irrigidimenti e reazioni che spesso hanno travalicato il merito delle questioni, impedendo di riconoscere fino in fondo il valore di alcune politiche dei nostri Governi - penso agli sforzi sulle centinaia di crisi industriali affrontate e risolte negli anni passati – e che hanno portato ad un accanimento fatto di critiche e di accuse di anti-democraticità verso esponenti del PD che oggi fanno impallidire in confronto ai comportamenti delle destre al Governo. Nello stesso tempo il Partito Democratico non ha saputo riconoscere l’importanza di confrontarsi in modo autorevole ma non autoreferenziale con le rappresentanze del mondo del lavoro, rinunciando così alla capacità di costruire alleanze sugli obiettivi e sui metodi che forse avrebbero potuto contribuire a frenare l’avanzata populista di Lega e M5S. Ieri in piazza a Roma con i sindacati c’era anche il PD, c’erano dirigenti, iscritti ed elettori, e soprattutto c’erano due dei candidati alla guida del Partito Democratico al Congresso che stiamo svolgendo. Un segnale importante, di speranza anche questo: perché accanto all’unitarietà dei sindacati è importante che si ricostruisca anche un confronto e un dialogo con le forze sociali, capace di rafforzare l’opposizione politica a questo Governo e la costruzione di un’alternativa credibile e sempre più urgente per l’Italia e per l’Europa.

In queste settimane a Como si è discusso molto di un’area importante e di grande valore per la città qual è la Ticosa. Il dibattito si è sviluppato attorno all’opportunità di candidare questo luogo a beneficiare del contributo per gli interventi emblematici riconosciuto ciclicamente da Fondazione Cariplo alla nostra provincia. Ho seguito il tema con interesse, anche per ragioni legate alla mia formazione e alle questioni di cui da anni mi occupo in Parlamento. Giovedì sera, rientrando un po’ di corsa da Roma, sono riuscita a partecipare all’interessante incontro promosso in Biblioteca da Officina Como che ha illustrato la sua proposta di destinare l’area alla realizzazione di un hub della creatività. Non mi interessa discutere della genesi di questo progetto o della contrapposizione tra i promotori e l’Amministrazione cittadina, né ho gli strumenti e le conoscenze per esprimermi riguardo ad un’idea progettuale ambiziosa e complessa, ma soltanto dare voce a tre brevi considerazioni che ho maturato nel corso della serata:
  • la Ticosa è un pezzo della storia di Como e insieme della storia industriale di questo Paese, con il suo carico di criticità dato dall’esigenza di affrontare, prima di ogni altro progetto di riqualificazione, il tema della bonifica ambientale. Essendo un’area di proprietà pubblica, il costo e l’onere di questa necessità gravano e condizionano ogni scelta di programmazione sul suo futuro, come dimostrano anche le vicende degli anni più recenti. Chi è chiamato per ruolo e responsabilità a deciderne destinazione e futuro deve tenerlo sempre ben presente e sapere che nell’ambito di un progetto di partenariato pubblico-privato una quota di contributo pubblico può essere determinante per favorire processi virtuosi di riqualificazione ambientale e urbanistica
  • nel ragionare sull’ipotesi di un hub della creatività per la Ticosa in molti hanno fatto riferimento all’esperienza di Como Next a Lomazzo, che più di dieci anni fa beneficiò appunto del contributo di Fondazione Cariplo. Conosco bene quel progetto (lavoravo nell’ufficio tecnico del Comune di Lomazzo quando iniziò la ristrutturazione degli spazi dell’ex cotonificio Somaini) e il valore che oggi rappresenta per il territorio. Nel farne la storia penso che si sia omesso di sottolineare un dato importante: l’idea dei promotori di quel progetto – Camera di Commercio e molti altri – trovò orecchie attente e sguardo lungo nell’allora Amministrazione di Lomazzo, guidata da Rosangela Arrighi, sindaco capace e tenace, che pure di fronte a molte incognite e rischi decise di accettare la sfida e di sostenere quell’idea. Lomazzo era un comune di meno di 10.000 abitanti, Como è la città capoluogo della nostra provincia, ma è evidente che a far la differenza non è il numero di abitanti: se una città e chi la governa rinuncia a guidare i processi non c’è idea, per quanto vincente, che può farla crescere
  • il finanziamento della Fondazione Cariplo nell’ambito degli interventi emblematici 2019 era un intervento atteso per la nostra provincia: ne è dimostrazione il fatto che, da quanto è dato sapere, sono già numerosi i progetti candidati. Ora, Ticosa o no, proposta di Officina Como o no, è tristemente significativo che la Giunta di Como, che amministra da ormai due anni la città capoluogo e che dispone di una serie di condizioni finanziarie e di investimento importanti, non si sia fatta promotrice dinessun progetto di valore per la città e per il territorio, capace di suscitare interesse e dibattito intorno all’opportunità data dal Bando di Fondazione Cariplo. A meno di non considerare l’idea di fare solo un parcheggio sull’area della Ticosa un progetto di valore: allora sì che ci sarebbe di che preoccuparsi (e forse anche un po’ vergognarsi).


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