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Pierluigi Castagnetti: Mattarella sarà un custode rigoroso della Costituzione - intervista dell'Huffington Post

30 Gennaio 2015

Poco interventista, aperto alle riforme, più Einaudi che Pertini




di Andrea Carugati



Pierluigi Castagnetti, di pochi anni più giovane dell'amico Mattarella, arriva a Montecitorio dopo oltre un mese di assenza. “Questi due giorni non me li sarei mai persi”, spiega ai tanti che si avvicinano per salutarlo. Incrocia Rosy Bindi, altra grande amica e compagna di battaglie di Sergio Mattarella nella sinistra Dc, e poi nel Ppi che guardava all’Ulivo, nella Margherita e nel Pd. Sorridono entrambi, ma Castagnetti non dimentica di essere scaramantico: “Ti prego Rosy, controlliamo i sorrisi, aspettiamo…”. Per la loro storia, per la loro militanza politica, Sergio Mattarella al Quirinale è più di un sogno. E’ un coronamento. “Torniamo persino alla vecchia alternanza tra un laico e un cattolico”, sorride Castagnetti, già segretario del Ppi e vicepresidente della Camera.

Anche in queste ore di tensione e di emozioni, non perde la lucidità, persino la freddezza dell’analisi di politica. “Se sarà eletto, Sergio sarà un presidente che assomiglierà più a Einaudi che a Pertini, un custode della Costituzione, poco interventista. Ma nessuno pensi che sia un conservatore. Sarà un custode rigoroso ma anche apertissimo alle riforme. La sua è una cultura riformista, e non condivido affatto quella frase di De Mita, quando disse che rispetto a Sergio “Forlani è un movimentista”. Da quanto è in politica, Mattarella è sempre stato impegnato sul versante del cambiamento, anche per quanto riguarda la Costituzione, fermi restando i principi cardine. La sua è sempre stata un’intelligenza al servizio del cambiamento, altro che immobile”.

Dunque lei vede un ritorno al ruolo notarile della Prima repubblica, dopo i settennati in prima linea di Pertini, Cossiga, Scalfaro e anche Napolitano?

“Penso che farà poche esternazioni, pochissime battute. Sarà un interlocutore più delle istituzioni che del popolo, molto attento a non invadere le sfere di competenza del governo e del Parlamento. Mi aspetto che sia un elemento di garanzia per il funzionamento del sistema”.

Bisogna prepararsi a rinunciare al protagonismo del Colle?

“Si dice spesso che i poteri del Capo dello Stato sono per così dire a fisarmonica, si estendono e si ritraggono a seconda dello stato di salute degli altri poteri dello Stato. Credo che dopo tanti anni questa fisarmonica possa tornare contrarsi, del resto lo stesso Napolitano ha detto che si è esaurita la stagione che richiedeva un ruolo di forte iniziativa presidenziale. Ci sono tutte le condizioni perché il ruolo del presidente possa rientrare, sia pure in modo convulso stiamo uscendo da una lunghissima fase di transizione”.

Il merito è di Renzi?

“Non c’è dubbio che le riforme istituzionali siano più che avviate, dunque viene meno l’esigenza che dal Colle ci sia uno stimolo continuo in questa direzione. Renzi ha certamente contribuito a rompere un immobilismo che durava da anni, quando si parlava molto di riforme ma non si trovava mai il bandolo da dove partire”.

Davvero pensa che il lungo “semipresidenzialismo di fatto” possa dissolversi di colpo?

“Insisto con la teoria della fisarmonica. Anche nel caso di Napolitano l’interventismo non è stato intenzionale, ma dettato dalla situazione politica. A mio avviso si tratta quindi di un processo reversibile”.

Guardando al binomio Italicum-riforma del Senato dal punto di vista della vostra politica, si può dire che l’equilibrio dei poteri sia rispettato o c’è il rischio che un partito e un premier abbiano troppi poteri?

“A mio avviso non ci sono rischi. L’impianto delle riforme innova il sistema senza mettere in discussione l’equilibrio tra i poteri”. 

Come spiegherebbe a un giovane cos’è stata la sinistra Dc, la vostra cultura politica?

“Nella Dc i morotei erano l’area pensante, che ragionava sul futuro, e in particolare sugli strumenti e i percorsi per arrivare a un cambiamento reale. C’erano figure come Tina Anselmi, Leopoldo Elia, Nino Andreatta, personalità politiche che si misuravano ogni giorno con la fatica di costruire le condizioni del cambiamento. C’era questa ambizione dei pensieri difficili”.

Come immagina la coabitazione tra un presidente di questo tipo e una personalità effervescente come Renzi?

Non sarà difficile, perché sarà chiarissima la distinzione tra i due ruoli. Da Mattarella mi aspetto più indicazioni che esternazioni, e tra le due figure istituzionali una virtuosa complementarietà che possa traghettare l’Italia verso il cambiamento senza perdere il collegamento con le radici della nostra democrazia. Immagino per Mattarella un magistero non invadente, ma prezioso per sbloccare i nodi o le situazioni difficili”.

Faccia un esempio…

“Spesso si è trovato a risolvere nodi o conflitti, come nel caso della legge elettorale. Nel 1993, dopo i referendum Segni, in Parlamento c’era una forte incomunicabilità. Sergio è riuscito a mettere insieme Violante e Tatarella su una sua proposta che teneva conto della fatica del sistema politico a cambiare pelle. Lui, del resto, ha insegnato Diritto parlamentare e come Elia ha sempre teorizzato la necessità di un velo di ignoranza dei riformatori rispetto agli effetti politici di parte. Se invece si pensa troppo a chi può guadagnarci, i processi di riforma non arrivano a buon fine”.

Berlusconi sbaglia a pensare che Mattarella potrebbe essere un “nuovo Scalfaro”?

A mio avviso c’è un errore di valutazione, si tratta di personalità molto diverse. Per certi versi la figura di Scalfaro somiglia più a Pertini che a Mattarella, soprattutto per quanta riguarda l’esposizione mediatica. Nel carattere di Sergio, ci sarebbe un’interlocuzione più forte con le istituzioni piuttosto che col popolo. Ma anche lui dovrà trovare le forme per comunicare con gli italiani, perché a differenza del passato il Paese non è più dentro i partiti. E dunque nessuno può permettersi il lusso di non attivare questo canale di comunicazione col popolo”.

Nelle biografie di Mattarella si coglie spesso un elemento: dalle dimissioni contro la legge Mammì alla battaglia contro Buttiglione per non portare a destra il Ppi, c’è sempre una certa allergia al berlusconismo…

“Per capire quei passaggi bisogna tornare a quella stagione di passaggio tra la Prima e la Seconda repubblica. Una stagione convulsa, in cui molti di noi, ben al di là del proprio temperamento, si ritrovarono a vivere forti passioni, in primo luogo per preservare il grande patrimonio del popolarismo. Sergio è sempre stato più uomo delle istituzioni che uomo di partito, e questo lo accomuna al fratello Piersanti”.


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