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La sfida del cambiamento

06 Luglio 2012

L'editoriale di Marina Sereni

“Proprio dalle grandi crisi tendono a scaturire le rotture più profonde”, scriveva qualche giorno fa Gianni Cuperlo su l'Unità, sollecitando il Pd e le forze progressiste a non rinunciare a coltivare l’utopia, la prospettiva di un cambiamento radicale. Condivido. Siamo di fronte al fallimento di un modello in cui è stata egemone la destra su scala mondiale e rispetto al quale la sinistra di governo, in Europa e non solo, non è stata in grado di elaborare una visione alternativa e credibile.  Questa inadeguatezza ha coinciso con la perdita di peso della politica, organizzata ancora in gran parte su scala nazionale, nei confronti dei poteri globali della finanza e della comunicazione. E’ dunque indispensabile prendere le mosse da una riflessione strategica sull’Europa che affronti le contraddizioni che questa crisi ha fatto emergere drammaticamente: una diseguaglianza troppo grande non tanto (o almeno non solo) tra i singoli cittadini quanto piuttosto tra gli Stati che compongono l’Unione; un deficit di legittimazione democratica che rende debole l’Unione politica e che ha portato a far prevalere i meccanismi decisionali intergovernativi rispetto a quelli comunitari.

Queste contraddizioni possono avere un effetto deflagrante oppure spingere l’Europa, e i soggetti politici che credono nell’utopia realistica del progetto originario, a compiere una svolta. “In ogni singolo stato dell’Europa – scrive Ulrich Beck – si è finora potuta adottare la metafora nota e diffusa secondo cui quanto più è grande la torta da spartirsi, tanto più saranno grandi le fette che toccheranno ai singoli paesi. Finora non era mai accaduto che la spartizione fosse in negativo. (…) Negli Stati Uniti la disparità concerne gli individui, nell’Unione Europea le nazioni. (…) Sulla scia della crisi finanziaria globale si inasprisce la differenza tra stati creditori e stati debitori, il che provoca reazioni antieuropeistiche e xenofobe in entrambi i gruppi di paesi". Ecco perché il nodo politico è ineludibile. Scrive ancora Beck “la politica nazionale nell’epoca globale può recuperare sovranità, capacità di orientamento e credibilità nazionale soltanto nella forma di una cooperazione transnazionale". L’attacco all’Euro ci costringe a fare in fretta. La crisi ci obbliga a procedere rapidamente lungo la strada dell’integrazione politica nell’Unione, e intanto non possiamo che cercare un filo di coerenza tra le politiche che si decidono su scala nazionale e quelle che devono essere necessariamente assunte in ambiti sovranazionali.

E’ bene non alimentare miti e dirci che su questo terreno il confronto in Europa non è semplicemente riconducibile alla dialettica destra/sinistra, conservatori/riformatori. Ha ragione Bersani quando dice, anche in riferimento all’esito positivo dell’ultimo Consiglio Europeo, che a Bruxelles come a Roma c’è spazio e bisogno di un’alleanza tra tutte le forze che intendono contrastare le pulsioni populiste e antieuropee.

Ciò non significa che siano venute meno le ragioni di una competizione tra destra e sinistra e che non sia necessario, per tornare alla suggestione di Cuperlo, cogliere l’occasione di questa crisi, e dell’implosione che essa sta provocando in Italia nel campo conservatore, per misurarci con la sfida di dare alla sinistra una nuova identità, di allestire un treno fatto di vagoni nuovi. Proporrei di tematizzare questo lavoro e di metterlo definitivamente al centro dell’agenda politica di questi mesi: non come compito di pochi esperti ma come grande discussione pubblica nel Pd e con le forze vitali della società italiana.

“La società post-industriale, la globalizzazione, l’innovazione tecnologica, l’enorme dilatazione delle possibilità affidate alle libertà individuali portano con sé dilemmi in larga misura nuovi: equità-efficienza, tutele-merito, protezione-concorrenza, diritti sociali-competitività. Dilemmi che non possono essere ricondotti al confronto pubblico-privato. Se i progressisti, i riformisti, vogliono essere una forza che aspira a governare gli eventi e non a subirli devono accettare la sfida di questi cambiamenti.” Così iniziava il documento conclusivo del nostro ultimo incontro di Cortona in cui identificammo alcune questioni-chiave che mi sembra possano risultare utili per riassumere la natura della sfida: democrazia e rappresentanza, ovvero come dare governo democratico ai processi politici ed economici e come regolare la sfera pubblica per rendere più efficiente la pubblica amministrazione e l’azione di governo; bene comune, ovvero come rileggere criticamente la stagione delle privatizzazioni senza liberalizzazioni e come costruire ambiti e meccanismi in cui gli attori economici interagiscano tra di loro fuori dai puri rapporti di potere o di forza economica; protezione, per una comunità aperta e inclusiva, ovvero come ridare centralità al lavoro e rileggere il welfare alla luce delle trasformazioni avvenute in questi decenni; nuovo patto per il futuro, ovvero come premiare il merito e offrire opportunità.  Sono soltanto dei titoli, che provano tuttavia a scendere dai valori e dai principi alla concretezza delle proposte politiche, sapendo che per un tempo non breve l’Italia – e più in generale l’Europa – dovranno fare i conti con una disciplina di bilancio stringente. Non perché ce lo chiede qualche tecnocrate a Bruxelles o a Francoforte ma perché è giusto. Fa parte della cultura di un centrosinistra di governo indicare il percorso per liberarci di un fardello troppo gravoso, che si mangia gran parte della ricchezza che il nostro Paese produce. “Tassa e spendi” non può essere l’architrave di una proposta di governo per la prossima legislatura. A risorse decrescenti dobbiamo far corrispondere un tasso crescente di innovazione e fantasia, per proporre un’idea dello sviluppo e del benessere capaci di dare valore ai beni relazionali, alla qualità, alla conoscenza, alla sostenibilità ambientale.

Ecco, se nei prossimi mesi – a partire dall’Assemblea del 14 luglio – potessimo confrontarci su questi temi, sul merito della nostra idea di cambiamento dell’Italia e dell’Europa, credo troveremmo anche la risposta più equilibrata sul grado di continuità/discontinuità che possiamo immaginare tra la proposta che il Pd porterà agli elettori nel 2013 e l’esperienza complessa del Governo Monti che noi stiamo sostenendo.

 


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