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Franco Mirabelli: Quando c'era Berlinguer

22 Novembre 2021



Quando c'era Berlinguer - di Diana Comari


Il film “Quando c’era Berlinguer” dice tutto per chi ha vissuto quegli anni, per chi era in piazza al funerale, per chi ha vissuto quella stagione.

Credo che questo film sia l’occasione di ripensare, rielaborare, ritrovare la grandezza di una stagione e la grandezza di un uomo che, fino all’ultimo, ha dimostrato di avere una dedizione straordinaria e anche coraggio.

Si associa poco la parola coraggio alla figura di Enrico Berlinguer ma credo che non sia giusto perché in quegli anni ci voleva un grande coraggio per andare a Mosca a fare un discorso in cui si spiegava al Movimento Comunista Internazionale e ai capi del Partito Comunista sovietico che la democrazia era un valore universale e che stavano sbagliando. Tanto è vero che Berlinguer un attentato lo ha subito anche se lo si ricorda poco, eppure, nonostante questo, non si è fermato.

Il film ripercorre bene le tappe.

Vorrei sottolineare alcune cose che sono anche nel film.

Enrico Berlinguer fu una persona straordinaria; era il capo del più grande partito comunista dell’Occidente ed esercitava questa funzione con grande disponibilità, con umiltà, timidezza; sempre parlando di “noi”. Berlinguer non diceva mai “io penso”, anche quando faceva gli strappi più radicali o quando andava in televisione a dire “noi ci sentiamo più protetti e pensiamo di costruire un socialismo moderno e al sicuro sotto l’ombrello della Nato”, lo diceva usando il “noi” perché sapeva di essere il capo di quella che adesso chiameremmo una “comunità” e che sapeva essere una grande storia politica.

Io mi sono iscritto alla Federazione giovanile comunista per Enrico Berlinguer.

Andavo a scuola dai salesiani e cominciai ad occuparmi di Berlinguer quando il professore di italiano ci diede da leggere e commentare le lettere tra Berlinguer e Monsignor Bettazzi, citate anche nel film. Credo che la ragione vera sia quella che ha espresso Jovanotti: Berlinguer era colui che rappresentava un’idea di comunismo e di Partito Comunista che non aveva nulla a che fare con l’ideologia o con URSS ma era l’idea di un partito che si batteva per i lavoratori, un partito che aveva il coraggio di battersi per la libertà e i diritti, che allora non erano un patrimonio del movimento comunista internazionale; criticava l’invasione della Cecoslovacchia, criticava il colpo di Stato in Polonia, sosteneva gli aneliti di democrazia, metteva al centro la difesa della democrazia.

Alla fine Berlinguer fece il compromesso storico e quell’intuizione fu legata al golpe cileno; c’era un tema che riguardava la legittimazione dei comunisti ma c’era anche l’idea che tutta la parte sana di questo Paese dovesse coalizzarsi perché al primo posto non ci doveva essere l’interesse di una parte ma ci doveva essere prima di tutto la difesa della democrazia di fronte all’aggressione del terrorismo.

L’altra grande questione che pose Berlinguer fu la questione morale. Si è discusso molto anche negli anni successivi sul fatto che la diversità teorizzata del Partito Comunista fosse un atto che alla fine allontanò una parte degli elettori, vissuta come una cosa un po’ elitaria ma in realtà la questione morale era farsi interpreti di una fase drammatica della storia del Paese, costellata da scandali enormi, dalla presenza mafiosa, da inefficienze statali drammatiche, come quelle che c’erano state durante i terremoti che si erano susseguiti. Era dire che c’era un’altra strada che metteva al centro il Paese, che metteva al centro la democrazia e non gli interessi di parte.

Forse questa è una delle cose che rimane e che deve rimanere: la capacità di fare politica mettendo al centro l’interesse generale, lavorando per migliorare e far avanzare la società, non rinunciando mai a fare questo e non mettendo mai gli interessi di parte davanti all’interesse generale.

Io credo che questo Berlinguer lo abbia sempre fatto e questo credo che sia un segno e un carattere che la sinistra italiana, nella sua evoluzione fino al PD, continua ad avere.

È il tentativo di costruire una politica che metta al centro il Paese, l’interesse del Paese e di costruire una politica che cerca di unire, mentre in quegli anni era facile dividersi, esattamente come in questi.

Credo che alla fine ci sia una responsabilità che la sinistra riformista e democratica del Paese continui ad avere e questo lo dobbiamo anche a quel percorso che Berlinguer ha fatto e che è stato illustrato molto bene da Walter Veltroni nel film.


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