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Il sangue di Saman Abbas e gli orrori che non vogliamo vedere - dal blog di Pina Picierno sull'HuffPost

09 Giugno 2021

Ci sono tre fotogrammi che da qualche ora rimbalzano sui media di tutta Europa e suonano come la conferma a un quadro indiziario sempre più solido che confermerebbe la morte di Saman Abbas, la ragazza pachistana di 18 anni, scomparsa da Novellare oltre un mese fa. 

Secondo gli inquirenti, Saman, sarebbe stata uccisa perché si era rifiutata di convolare a nozze combinate dai genitori Shabbar e Nazia Shahenn, che furono già denunciati lo scorso gennaio per “costrizione” o “induzione” al matrimonio. I tre fotogrammi sono raccapriccianti, non l’ho specificato subito perché ancora ne fatico a scrivere. Mostrano tre uomini muniti di pale e secchi nel retro di casa degli Shaheen, la sera del 29 aprile scorso, l’ultimo giorno in cui Saman è stata vista, quei tre fotogrammi mostrano tutta la folle lucidità di un gruppo famigliare che decide di uccidere una ragazza di 18 anni, rea di amare qualcuno di diverso rispetto ai dettami familiari.

Questa storia avvenuta dentro casa nostra ci ripropone con immutata gravità quello che avviene ogni giorno e ogni ora in angoli lontani dal nostro Paese, luoghi dove lo Stato di diritto e i diritti universali sono messi in deroga e ignorati a scapito di una regolamentazione opportunistica che poggia le sue basi su una interpretazione fuorviante della tradizione islamica, che si salda poi con usanze tribali e che trovano, infine, nella soppressione della volontà e delle libertà della donna il modo per andare avanti. 

Dopo l’omicidio di Hiina Saleem nel 2006 a Brescia, ci eravamo detti che non sarebbe più successo, che in Europa, in Italia, avrebbe sempre vinto il diritto sulla barbarie, ma il sangue di Saman Abbas, la terra che ha ricoperto il suo giovane corpo, che voleva solo amare e vivere secondo cuore e coscienza, ha seppellito un percorso manchevole e pieno di lacune. A partire dalla confusione tra tradizioni culturali, religiose e umanistiche e quindi la sana integrazione scolpita nella nostra Carta Costituzionale, con pratiche vessatorie, criminali e discriminatorie che vengono consumate sul corpo delle donne.

Violenze fisiche, psicologiche, infibulazione, matrimoni combinati avvengono a un ritmo serrato nel silenzio generale dell’opinione pubblica per paura, nelle famiglie progressiste, di intaccare i principi del multiculturalismo e, a destra, di evitare incidenti con importanti attori internazionali. I diritti umani non sono esportabili e soprattutto non compongono una voce di entrata nei bilanci dello Stato, c’è quasi tutto da perdere a tutelare la dignità delle donne rese vulnerabili da una complessa radice religiosa che si fonda sul patriarcato. 

Esistono tuttavia dei laboratori, come quello francese del presidente Emmanuel Macron, che in completa solitudine sta cercando di dare in modo equilibrato una risposta: mai cedere alla semplicistica assimilazione tra cultura, religione e terrore, mai cedere ai principi di laicità e libertà dei valori di cittadinanza. In particolare a difesa delle cittadine: vi è senza alcun dubbio una malintesa libertà religiosa che scarica sulla libertà delle donne i propri inconciliabili principi di identità. E che permette a molti uomini di avere benefici dalla conservazione morale e religiosa della propria comunità. Cosa fare ovviamente è complesso, così come complessa è la natura del problema.

Resto convinta, per esempio, che interventi normativi siano da escludere. Le costituzioni occidentali, nessuna esclusa, rendono perfettamente conto delle libertà e dei diritti di cittadinanza. Delle sue opportunità e dei suoi limiti. Così come ridurre questo equilibrio in un contesto essenzialmente, o peggio, esclusivamente economico o di sicurezza sarebbe parziale e per certi aspetti fuorviante. È una sfida nuova, inedita. 

Avremo bisogno di tutte le nostre politiche, da quelle investigative e di sicurezza a quelle culturali, scolastiche e sociali, per deradicalizzare e includere e allo stesso tempo; per essere fermi e rigorosi, nel rispetto delle libertà di ciascuno e ciascuna. Così come sarà fondamentale che l’Europa e l’Occidente ritornino nel Mediterraneo, lì dove la faglia tra le civiltà è più estesa, abbandonando l’illusione dei confini. Una sfida su cui l’Europa e il nostro Paese giocano una partita decisiva sulla libertà, una sfida che deve essere ripulita da manicheismi e da volontà di giustificazionismo altrimenti saremo ancora di più causa del problema.


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