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In Siria non c’è una soluzione militare, bisogna riannodare il dialogo - di Marina Sereni da Riformismo e Solidarietà

01 Novembre 2019


Dopo il 9 ottobre scorso, quando la Turchia ha deciso di intervenire militarmente in modo unilaterale nel Nord-est della Siria, l’Italia ha espresso, come la gran parte della comunità internazionale, una ferma condanna. Si è trattato di un’iniziativa per la quale il presidente Erdogan ha parlato di ragioni di sicurezza e di contrasto al terrorismo senza tenere conto del fatto che le milizie curde, oggetto principale dell’attacco, sono state in questi anni protagoniste della lotta a Daesh, all’interno della coalizione internazionale di cui la stessa Turchia fa parte. Nelle ore e nei giorni immediatamente successivi all’intervento militare turco è scattata in tutto il Paese una mobilitazione diffusa a sostegno del popolo curdo.

La lealtà e il coraggio delle milizie curde nella lotta contro il fondamentalismo terrorista sono stati indubbi e sarebbe una grave ingiustizia che oggi questo popolo venisse abbandonato di nuovo dall’Occidente. Inoltre, nel Nord-Est della Siria, con l’esperienza del Rojava, il popolo curdo ha mostrato la capacità di portare avanti, insieme alla battaglia politica, un originale progetto sociale, nella convinzione che non si possa parlare di riconoscimento politico senza dare attenzione anche alla società, ai diritti delle donne, all’istruzione e ai bisogni delle persone.

Queste erano anche le idee di Hevrin Khalaf, questo è ciò per cui, disarmata, si batteva. La brutale uccisione dell’eroina curda dei diritti civili e della convivenza pacifica da parte di miliziani fondamentalisti filo-turchi deve ricordarci quanto sia ardua la via della pace. Gli effetti dell’intervento militare turco purtroppo non si sono fatti attendere: si sono creati quasi altri 200 mila profughi, nuove vittime di una guerra che va avanti da otto anni e che ha provocato tantissime morti, oltre a indicibili sofferenze per la popolazione civile. Inoltre si è messa in pericolo la coesione della coalizione anti-Isis e si è rischiato di lasciare fuggire dalle prigioni sorvegliate dalle milizie curde centinaia di foreign fighters.

Per tutte queste ragioni il Ministro degli Esteri nei primi giorni della crisi ha ritenuto di convocare l’ambasciatore turco al quale ho personalmente rappresentato le ragioni della nostra posizione di totale contrarietà all’intervento militare. In questo senso abbiamo anche agito in sede europea, contribuendo ad una posizione di condanna netta e facendoci promotori di un’iniziativa volta ad interrompere la vendita di armi alla Turchia, scelta che come Paese abbiamo compiuto all’indomani del Consiglio Affari Esteri immediatamente per i contratti futuri, disponendo contestualmente un’istruttoria puntuale dei contratti in essere, ancora in corso.

Nelle ultime settimane la situazione sul terreno è parzialmente mutata. Prima la “pausa” delle operazioni militari decisa da Erdogan in rapporto al Presidente Trump poi gli Accordi di Sochi tra il Presidente russo Putin e il Presidente turco, con i quali si prevede il ritiro delle milizie curde per una fascia di 32 km lungo il confine con la Turchia e un pattugliamento congiunto dei militari russi e turchi. Dimostrando la volontà di risparmiare ulteriori sofferenze alle popolazioni civili, i Curdi, che nel frattempo avevano ricercato un accordo oltre che con la Russia anche con l’esercito e le autorità di Damasco, hanno accettato il compromesso e ritirato le milizie YPG.

Gli scontri armati sono dunque al momento sostanzialmente cessati, anche se non è del tutto chiara la situazione e soprattutto la prospettiva futura della cosiddetta “safe zone”. Rimangono infatti forti preoccupazioni in particolare circa l’intenzione turca di trasferire una parte dei profughi siriani attualmente in Turchia proprio in quella fascia di territorio, prospettiva che, oltre a prefigurare una sorta di “sostituzione” delle popolazioni curde con gli sfollati arabo-siriani, non corrisponde affatto ai criteri che le Nazioni Unite chiedono di seguire per il rientro dei rifugiati nelle terre da cui sono stati costretti a fuggire a causa della violenza e della guerra. Ecco perché è più che opportuno che la comunità internazionale decida al più presto una modalità condivisa di gestione di questa porzione del territorio che garantisca la cessazione dei combattimenti e delle violenze e che vengano tutelati i civili e rispettati i diritti della popolazione curda.

Lo stesso recente blitz degli Stati Uniti che ha portato all’uccisione del leader di Daesh Abu Bakr al-Baghdadi è certamente un colpo all’organizzazione terroristica che tanti lutti ha causato, nella regione e fuori, ma non deve indurre a facili ottimismi. È indispensabile anzi che la coalizione internazionale ribadisca la priorità della lotta a Isis e mostri di aver ritrovato la compattezza necessaria per consolidare gli importanti risultati ottenuti sul terreno contro il Califfato.

Nonostante dunque si sia riusciti a porre un argine alle ostilità, la crisi della Siria resta assolutamente irrisolta. Per questo bisogna che l’Italia, l’Europa, i principali attori della comunità internazionale continuino gli sforzi per l’avvio del processo di stabilizzazione e di pacificazione secondo quanto previsto dalla Risoluzione 2254.

La convocazione il 30 ottobre a Ginevra della prima riunione del Comitato Costituzionale da parte dell’Inviato Speciale delle Nazioni Unite Pedersen è stato un primo piccolo segnale di speranza. Per la prima volta, infatti, rappresentanti del governo siriano e dell’opposizione si sono incontrati, insieme ad esponenti della società civile, per aprire una fase di dialogo. È molto importante che anche alcune personalità curde siano state chiamate a far parte di questo Comitato.

Il percorso per arrivare alla pace e alla stabilità, nel rispetto dell’integrità territoriale della Siria, sarà accidentato e complesso. Ma è l’unica strada possibile, perché per il futuro della Siria non esiste nessuna soluzione militare.


L’autrice è Vice Ministra degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale

 


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