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Avanti uniti ma ragionare sulla sconfitta - dal blog di Marina Sereni

30 Ottobre 2019

 

La sconfitta in Umbria è, per quanto non inattesa, cocente. Dopo la conquista da parte della destra della maggior parte delle città, dopo che alle politiche del 2018  il centrosinistra ha subito la sconfitta in cinque collegi su cinque – e dopo aver visto la Lega diventare primo partito alle elezioni europee di maggio, anche la Regione cambia di segno. Da anni molti commentatori - e anche a onor del vero alcuni dirigenti del nostro partito -  insistevano nel sottolineare come l’Umbria fosse diventata “contendibile”. Non abbiamo preso sufficientemente sul serio questo rischio, non abbiamo capito quanto fosse forte la domanda di cambiamento e di discontinuità che saliva dalla società umbra e, in particolare negli anni della crisi, non abbiamo colto adeguatamente il malessere sociale diffuso soprattutto tra i ceti medi e le fasce meno abbienti. Tutto questo rischia di scomparire nella discussione di queste ore, concentrata sul presunto significato nazionale del voto umbro. Ritengo sia invece indispensabile una lettura che parta dal contesto locale, dalle difficoltà specifiche che abbiamo dovuto affrontare negli ultimi mesi con lo scandalo giudiziario che ha investito la sanità e dal logoramento più complessivo che la nostra esperienza di governo in Umbria ha subito in questi anni. Se il Pd non fa seriamente i conti con tutto questo e non si interroga sulle ragioni profonde della sconfitta non saremo in grado di individuare le scelte giuste per ripartire. Serve una stagione completamente nuova, ripartiamo da chi ha sulle spalle meno anni e meno zavorre rispetto al passato.  Impostiamo per l’Umbria un congresso vero e apriamo porte e finestre a persone che hanno voglia di impegnarsi per ricostruire una forza di centrosinistra radicata nelle nostre comunità. Bisogna tornare a parlare con il popolo che ci ha girato le spalle e dobbiamo farlo in modo organizzato. Alla base della vittoria della Lega - anche in Umbria - c’è un lavoro sul territorio che non nasce ieri. Noi abbiamo pensato invece che il partito sopravvivesse comunque anche di fronte all’incuria, ai personalismi esasperati, alle divisioni interne che abbiamo conosciuto negli ultimi anni. E oggi semplicemente il Pd va ricostruito dalle fondamenta. 

Poi bisogna lavorare per tenere insieme le forze che hanno sostenuto la candidatura di Bianconi. Liste civiche e partiti, gruppi che hanno eletto e altri che sono restati fuori dal Consiglio Regionale pur avendo contribuito ad una campagna elettorale difficile. Qui c’è uno spazio naturale per il candidato Presidente ma anche per il maggior partito dell’alleanza: dobbiamo provare a fare l’opposizione insieme, a pungolare dalla condizione di minoranza il prossimo governo della Regione, partendo dai temi del nostro programma. Anche in questo modo si ridefinisce il nuovo perimetro e il ruolo del centrosinistra. 

 

Infine, il dibattito nazionale. Trovo fisiologico che si apra una riflessione sulla prima esperienza locale di alleanza tra il Pd e il M5S. Trovo invece assurdo che se ne traggano conclusioni “definitive”, che spesso riflettono pregiudizi più che giudizi. La vicenda umbra è un caso a se’. Abbiamo ritenuto, io credo a ragione, che valesse la pena di unire tutti coloro che non volevano consegnare la regione alla destra di Salvini. Il tempo a disposizione era pochissimo, siamo arrivati praticamente al giorno di presentazione delle liste con un candidato presidente che tanti non conoscevano per essere stato fuori dalla politica attiva. Abbiamo scoperto in Vincenzo Bianconi una bella persona - sensibile e coraggiosa - che ha combattuto come molti politici di professione non avrebbero saputo fare. Il fattore tempo però ha giocato contro, e l’alleanza tra noi e il M5S non è stata metabolizzata da una parte dell’elettorato, soprattutto ma non solo 5S. Riconoscere autocriticamente tutto questo è un segno di maturità, farne discendere il “mai più alleanze” rappresenta invece un errore politico. Soprattutto se non si riesce a delineare una alternativa.  I numeri in democrazia sono importanti, non si può governare senza conquistare la maggioranza. Nelle Regioni che voteranno nei prossimi mesi qual è la proposta migliore da offrire agli elettori? Andare divisi rende più convincenti rispetto ad una coalizione di destra a guida leghista che si presenta forte ed unita? Certo bisogna partire dai programmi e dai territori, perché ogni Regione è una storia a se’. Ma penso che escludere in ogni caso la possibilità di una alleanza simile a quella che governa a livello nazionale non sia una scelta saggia. 

 

Ultimo, ma non ultimo, il Governo nazionale. Anche a prescindere dal voto alle regionali la maggioranza che sostiene l’attuale Governo Conte deve decidere che messaggio dare al Paese. I problemi sono molti, le risorse a disposizione sono molto limitate eppure con la manovra si è fatto e si sta facendo un buon lavoro. Ma non arriverà questo all’opinione pubblica se tra i partiti della maggioranza si privilegiano le “bandierine” e si continuano a cercare distinguo. Questo governo ha senso se riesce a creare un clima di fiducia nel Paese. C’è bisogno di cambiare metodo, di far lavorare di più insieme le forze della maggioranza coinvolgendo parlamentari e membri del governo, facendo maturare le scelte e “raccontandole” come risultati di tutti. Ma molto dipende dai singoli attori politici. Per il Pd questo governo è senza alternative, se fallisce c’è solo il voto. Ed è per questo che ci sentiamo impegnati per fare il meglio possibile con spirito unitario e costruttivo. Ma non possiamo essere i soli a scegliere questa cifra. 


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