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Elezioni europee, riflessioni a caldo sul voto - intervento di Pier Paolo Baretta su Riformismo e Solidarietà

28 Maggio 2019



Affronteremo, nei prossimi giorni, l’analisi delle elezioni europee, ma intanto, a caldo, è necessario fissare alcune prime impressioni che, altrimenti, rischiano di andare nello sfondo delle discussioni sulle conseguenze politiche di questo voto, destinato a pesare nelle prospettive sia continentali che nazionali.

La crisi della partecipazione al voto

Innanzitutto, l’affluenza. Mentre nel resto d’Europa la partecipazione al voto aumenta, in Italia cala. È motivo di preoccupazione. Una tendenza progressiva, che da anni segna la crisi del rapporto tra cittadino e Istituzione. Tra le molte cause, la caduta della dignità della politica voluta da un dibattito che ha confuso la lotta ai privilegi della casta con la natura e il compito della politica stessa, nell’idea che la forma migliore della rappresentanza fosse la democrazia diretta. Quella che Barbano, nel suo ultimo libro, chiama: “l’esaltazione del popolo come fonte unica di legittimazione, l’azzeramento della delega in nome di un’abiura delle élite”. La conseguenza è che tutta la politica è infetta. Il Governo gialloverde ha scritto, in un recente provvedimento di legge, che qualsiasi associazione (anche le Proloco o quelle umanitarie) che abbia, nei suoi organi, una persona che abbia ricoperto incarichi politici (basta anche essere stati consiglieri comunali) da meno di dieci anni deve certificare i propri bilanci. Come dire che tutti politici sono potenzialmente a rischio, tutta la politica è corrotta. Ne nasce un paradosso: se tutta la classe politica è indegna, solo uno, un salvatore della Patria, potrà gestire il tutto. È una deriva autoritaria alla quale va opposta una nuova partecipazione civica, una nuova dimensione collettiva della rappresentanza, un ristabilimento del giusto ruolo di una classe politica che assolva al proprio compito con “dignità ed onore”.

L’insostenibile leggerezza dei flussi

Un secondo aspetto riguarda la mobilità del voto e i flussi. La trasmigrazione da un partito all’altro dimostra, definitivamente, che se il voto ideologico era già tramontato da tempo, anche quello identitario è ormai minoritario. Le caratteristiche del voto contemporaneo sono chiaramente due: lo scambio atteso e immediatamente riscuotibile o l’avvertimento sul futuro. Il do ut des sulla base di promesse clamorose è il segno del risultato delle scorse politiche e la mancata realizzazione di queste la ragione dell’insuccesso attuale dei pentastellati. Il voto alla Lega, clamoroso e senza precedenti, è una conferma di credito condizionata, però, al recupero di una “ragione sociale” sbiadita nell’alleanza di governo. In sostanza, è come se l’elettore, in assenza di alternative valide, lanciasse un monito a Salvini: “va bene, sei forte e determinato. Ma adesso fai vedere davvero se sei capace di fare quanto dici e di mollare chi ti ferma…”. La rapida ascesa, nell’arco di pochi anni, di Renzi, Di Maio e Salvini e l’altrettanto rapida caduta dei primi due (per ora…) è la conferma di questa dinamica.

Ma c’è di più: salvo il Pd, che ha un recupero progressivo, gli altri partiti principali (Lega, 5 stelle, Forza Italia, Fratelli d’Italia), o raddoppiano i loro voti o li dimezzano. Una mobilità straordinaria che va oltre le attese e che, proprio nella rapidità e nella dimensione di questi capovolgimenti, ci dice quanto precaria sia la condizione della politica se non recupera una nuova strutturalità nella rappresentanza economica e sociale.

Chi fatica di più, in questa situazione, è la sinistra, che più di altri, risente ancora di ragioni ideologiche e identitarie. Tanto più se attorniata da “maitre à penser” che ogni giorno la richiamano al passato. La nuova rappresentanza alla quale guardare è invece un mix di nuovi valori ambientali: in Europa, i Verdi esistono e avanzano, in Italia no! Valori sociali ed economici. La distinzione tra ricchi e poveri non emerge nel voto; il che dimostra che la discriminante è sulle aspettative, sui bisogni, sulla risposta che si riesce a dare alla condizione di partenza e non sulla condizione in sé. I ceti popolari e la classe media, anch’essi post-identitari, votano per chi risponde alle loro domande. E così anche il resto della società.

La rappresentanza, cioè, di un mondo eterogeneo, esattamente com’è la società post-classista (ancorché fortemente diseguale) da rispettare nelle sue differenze e domande, al quale offrire una prospettiva unitaria. La cosiddetta “lista aperta” di Zingaretti è, in tal senso, un esperimento in via di riuscita, come dimostrano le preferenze accordate alle differenti fisionomie dei Calenda, Bartolo, Pisapia, Tinagli o Roberti. E, come dimostra, il fallimento di +Europa (che ha proprio voluto giocare sull’identità pura) e del resto di una galassia che non ha colto la proposta, non tanto del voto utile, quanto della costruzione di un progetto di alternativa che non può che essere pluralista, rifugiandosi anacronisticamente sulla orgogliosa, ma stantia concezione di rappresentanza che si nasconde dietro la vecchia idea di “sinistra”.


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