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Alle Europee una lista progressista può sfidare la Lega ad armi pari - intervista a Paolo Gentiloni de La Stampa

14 Gennaio 2019

L’ex premier: “Quella di Di Maio sul boom economico è stata un’uscita particolarmente pittoresca, ma quel che colpisce è il loro essere continuamente ed esclusivamente in campagna elettorale”


di Fabio Martini


Ottimismo della volontà più che della ragione?

«C’è molto lavoro da fare. Ma cominciano a delinearsi due visioni politiche molto nette e destinate a confrontarsi alle prossime elezioni Europee. Dalla nostra parte c’è la prospettiva di una Lista unitaria, di democratici, progressisti e europeisti, della quale Pd sia il pilastro. Dall’altra i nazionalisti, con Salvini, alleato di Orban e del polacco Kaczynski. Con i Cinque stelle destinati a restare marginali. Potenzialmente partiamo ad armi pari, pronti a competere con la Lega per la lista che avrà più voti. Potrebbe cambiare lo scenario politico italiano. Un flop del governo “naz-pop” alla prima uscita elettorale sarebbe una “notiziona” anche per l’Europa».

 

Dopo la piazza di Torino e un Nord che non si rassegna all’idea di una decrescita infelice, le ipotesi di una revisione del progetto Tav e quella leghista di referendum non significano melma per arrivare alle Europee?

«Su questo dobbiamo essere molto netti. Io apprezzo la proposta di referendum del presidente Chiamparino, perché ha messo a nudo le contraddizioni del governo. Ma la Tav sta andando avanti, sono stati già spesi dei miliardi e, per cancellarla, il governo dovrebbe prendere una decisione in quel senso. Ma è del tutto evidente che in Parlamento non c’è una maggioranza per farlo. Punto».

 

E invece la Lega va in piazza: ricorda Rifondazione comunista che organizzava cortei contro il governo Prodi di cui faceva parte? Salvini come Bertinotti?

«Per confermare la Tav in questo Parlamento c’è un’ampia maggioranza, grazie ai voti del Pd, di Forza Italia, della Lega e di altri. Per quante acrobazie propagandistiche possa fare Salvini, andare in piazza o cavarsela con un referendum, mi sembrano atteggiamenti al limite della presa in giro. Degli elettori, in particolare di quelli del Nord».

 

Il ministro dell’Economia parla di stagnazione: escamotage lessicale, o la stagnazione non necessariamente preluderà alla recessione?

«L’economia italiana purtroppo si sta fermando, sia pure nell’ambito di un rallentamento che coinvolge altri Paesi della zona euro. C’è l’enorme rischio che la fotografia della stagnazione, valida per oggi, possa evolvere nel 2019 in recessione. Anche per effetto di fattori schiettamente “made in Italy” e che sono il frutto dell’azione di sette mesi di governo: sono peggiorati la reputazione finanziaria del Paese, il livello di fiducia tra le imprese e tra gli investitori interni e internazionali. E quanto alla manovra, è di dimensioni molto modeste: 30 miliardi, forse una delle più modeste dal punto di vista quantitativo degli ultimi 15 anni. Più tasse, qualche provvedimento di spesa e niente soldi per chi investe, per chi produce lavoro e per chi lavora. Una manovrina depressiva».

 

Su reddito di cittadinanza e quota 100, misure «di sinistra», il Pd non ha detto né no, né sì…

«Io penso che il Pd abbia detto chiaramente di no. Rispetto al reddito di cittadinanza potevano esserci soluzioni abbastanza semplici, come chiedevano le forze dell’Alleanza contro la povertà. Si potevano mettere più risorse, magari cambiandogli nome, sul Reddito di inclusione, che è rivolto alle persone in condizioni di povertà assoluta».

 

Non c’è il rischio che presto scatti il malcontento dei milioni di italiani che, lavorando duramente, guadagnano 800-1000 euro?

«L’idea di promettere un reddito, anche significativo, separandolo dallo svolgimento di un lavoro, è pericoloso da due punti di vista: la reazione di chi lavora per ottenere lo stesso reddito, ma anche la delusione del 70-80% di coloro che sono stati illusi di poter ricevere questa lauta contribuzione, e non l’avranno. Mi preoccupa quel che potrà accadere nel Mezzogiorno».

 

La sera ai TG, il Pd appare prevedibile, dice sempre no. Ogni tanto qualche sì, o una versione dei fatti meno scontata?

«Bene che sulla vicenda Carige il governo abbia deciso di predisporre un paracadute. Del resto è il nostro, quello del mio governo. Tuttavia il paracadute viene azionato da due pulsanti. Uno nazionale ed uno europeo. Trovo surreale la discussione sulla nazionalizzazione, anche perché non so se questo scenario sia stato negoziato, come necessario, con l’Europa».

 

Lista progressista per le Europee: è realistico un contenitore che metta assieme Calenda e Bersani, Bonino e Renzi?

«Non dobbiamo comporre un puzzle di nomi ma costruire una visione e una proposta condivisa. Lavoro impegnativo, ma ne vale la pena: da una parte democratici ed europeisti, dall’altra i nazionalisti: una partita che gli italiani capiranno e che può cambiare i rapporti di forza».


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