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Gentiloni: davanti al vuoto occorre avere coraggio - intervista di Beppe Severgnini per il Corriere della Sera

22 Novembre 2018


Contento di essere a Milano, eh?

«A me Milano fa invidia in un modo terribile, perché io ho lavorato sette anni a Roma, al Comune, nell’ultima parte degli anni Novanta e, in quel periodo, c’era un sentimento opposto. Molti amici milanesi dicevano: “Ammazza Roma, come è dinamica!” “Quante cose si fanno, Milano come è triste!” Adesso, purtroppo, è vero il contrario».

 

Non ha la sensazione che, se succederà qualcosa di nuovo e di buono in Italia, verrà fuori da questa città?

«È senz’altro difficile che succeda qualcosa di buono senza Milano. Perché sicuramente la città, oggi, dal punto di vista culturale, dei progetti, della vitalità, è un esempio. Però c’è anche Torino. Quello che è successo in piazza dieci giorni fa: anche in quella città c’è un’anima, c’è un mondo democratico con la schiena dritta. Perché il vero interrogativo sull’Italia è: in che misura il nostro sistema – le classi dirigenti, il mondo del lavoro, il mondo delle imprese, il mondo della cultura – sarà in grado di reggere a questa onda nazionalpopulista? Ecco: ho trovato quella manifestazione di Torino splendidamente impopulista».

 

Trovo nel suo libro questa cifra: undici milioni di voti. Tanti ne hanno persi Partito Democratico e Forza Italia/Pd1 tra il 2008 e il 2018. Alcuni di questi elettori sono furibondi: ne incontro ogni giorno. Per restare al suo partito, al Pd: come avete fatto a rendervi così impopolari?

«Il Pd è diventato il simbolo delle cose che non andavano.  Immeritatamente, tutto sommato; anche se abbiamo fatto errori enormi e nel libro ne parlo. Perché è accaduto? Perché siamo rimasti al governo per sei anni: Monti, Letta, Renzi, Gentiloni. Forse per un eccesso colposo di ottimismo della volontà: sottolineare continuamente che le cose stavano andando meglio, che i risultati dell’economia arrivavano, che il Pil e l’occupazione riprendevano a crescere, che il numero degli sbarchi calava… Tutte cose vere e che rimpiangeremo amaramente nei prossimi mesi; anzi, le stiamo già rimpiangendo. Però a chi era in una situazione di disagio, di difficoltà, di paura, apparivano…

 

….secondarie?

«Addirittura irritanti. Perché, se tu stai nei guai, ti senti spaesato, hai dei figli che non trovano lavoro, sentirti dire che le cose stanno andando nella direzione giusta non basta. Questo problema lo hanno avuto anche altri partiti di governo europei: pensi alla Germania».

 

Questo per il centrosinistra. E il centrodestra?

«Eccola, la vera anomalia italiana: la mancanza, o la quasi irrilevanza, di una destra europeista di governo. Solo l’Italia sta messa così male. E se ne parla troppo poco. Io trovo allarmante il fatto che questa forza politica, che da noi è rappresentata da Berlusconi, sia ridotta ai minimi termini. Travolta numericamente e tuttora alleata – si potrebbe dire junior partner- della destra estremista e populista. In Francia o in Germania, la destra estremista antieuropea e la destra moderata europeista non si parlano.

 

Infatti, secondo me, gli elettori moderati cominciano a non capirci più niente. E la voragine al centro si allarga. Un sinonimo di “voragine”, in italiano, è “orrido”, che è anche un sostantivo: ci ha mai mai pensato?

«Assolutamente, c’è una voragine. II Pd ha subito una sconfitta gravissima, però, attenzione: non bisogna smontare l’argine che abbiamo»

 

Mi basta un aggettivo: quali sono i suoi rapporti oggi con Matteo Renzi?

(dopo una pausa di 28 secondi): «L’aggettivo… Mi verrebbe
da dire: necessari».

 

Un buon aggettivo. Perché, leggendo il suo libro, ho avuto l’impressione che lei abbia ammesso una serie di errori, o sottovalutazioni, e invece altri nel partito Democratico fatichino a dire “Ho sbagliato” oppure “Questo non l’avevo capito”…?Ha in mente Fonzie di Happy Days che non riusciva, nonostante gli sforzi, a pronunciare le parole “I was wrong, avevo torto” e “I’m sorry, mi dispiace”? Ecco: Matteo  Renzi ogni tanto dà questa impressione.

«L’errore, secondo me, è stato ritenere che l’atto, certamente coraggioso, di dimettersi – Renzi l’ha fatto per ben due volte, la prima dopo la sconfitta del referendum, la seconda dopo la sconfitta del 4 marzo – fosse risolutivo, esaustivo».

 


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