In una lettera al direttore de Il Foglio Claudio Cerasa, Pier Paolo Baretta analizza la situazione politica italiana alla luce degli ultimi sondaggi, che attribuiscono al governo giallo-verde un consenso che sfiora il 60 per cento. Eppure, andando controcorrente, il presindente di ReS cerca di rilanciare l’azione dell’opposizione con un approccio “mezzo pieno”.



Al direttore – Secondo gli ultimi sondaggi, più di un italiano su due condivide le politiche del governo. Dunque, almeno il 40% degli elettori no? Non commettiamo il banale errore fatto dal PDe da Renzi, quando si pensò che i due 40% (alle europee e al Referendum) fossero acquisiti alla causa. Non sottovaluto affatto la portata del consenso di Lega e 5S, tanto più in presenza di un’opposizione ancora sbandata. Ma questo approccio “mezzo pieno” può aiutarci a reagire e darci una piattaforma che metta insieme il campo democratico, riformista e progressista.

A cominciare dall’Europa. Gli europeisti convinti devono uscire allo scoperto, dichiararsi e unirsi. Spetta a noi, non agli euroscettici, indicare le strade di una riforma radicale delle Istituzioni Europee. Un’altra Europa è possibile, oltre la dittatura dei numeri e riscoprendo la sua anima sociale. Gli Stati Uniti d’Europa, non come un’utopia (anche se un’utopia serve, soprattutto in tempi bui,), ma come un obiettivo concreto per sostenere un progetto pienamente “federale”, che preserva un ruolo alle identità nazionali, al di là di una generica “Europa unita”, che presupporrebbe una prospettiva neo-centralista. Certo, è necessario che si stabiliscano nuove regole fiscali e sociali in sintonia con la vocazione di economia sociale di mercato che, pur ammaccata, resta un unicum da rilanciare nel panorama confuso della globalizzazione.

Facciamo delle prossime elezioni europee l’occasione di questo rilancio. E facciamolo dando vita a un’unica lista che unisca, oltre i partiti, le coalizioni, i movimenti, tutti coloro che vogliono un’altra Europa. Non nessuna Europa, come vogliono i sovranisti. Se le varie sigle politiche in campo saranno generose e daranno vita a questa nuova esperienza, una parte non secondaria di tutti coloro che non condividono le attuali prospettive politiche troveranno, finalmente, un’alternativa.

L’altro terreno su cui misurarci è, addirittura, più scottante, sebbene non scollato dalla questione europea: l’immigrazione. Riconosciamo esplicitamente, senza reticenze, i tre errori fatti negli scorsi anni: la sottovalutazione dell’impatto sociale ed emotivo dei flussi non gestiti; la sottoscrizione di accordi bilaterali, senza la garanzia di controlli che assicurassero la dignità delle persone in paesi come la Libia; l’assenza di vere politiche di integrazione dei richiedenti asilo, basate su lavoro – anche socialmente utile – e sull’apprendimento della lingua.

Accanto a questi temi prioritari vanno ripensate le grandi tematiche della questione sociale, dal lavoro al welfare; dello sviluppo industriale, turistico e ambientale, sui quali (Ilva, Tav, Genova) già ben si vedono i limiti del governo; dell’urgente riforma della democrazia in crisi: i diritti personali in equilibrio coi doveri civili e il bene comune, la democrazia rappresentativa praticata non in modo elitario, ma come veicolo di partecipazione alla cittadinanza attiva.

Insomma: riformismo, solidarietà e democrazia economica, sono, sia pure ripensati, ancora obiettivi per ricostruire un terreno ampio, che raccolga il consenso disperso e recuperi parte di quello perso.

Ma questa piattaforma ha bisogno di leader credibili, di volti e forme nuove. Se invece di dare avvio al cantiere riformista tutto si riducesse alla celebrazione di un confronto interno al Partito democratico (il Congresso è già clamorosamente in ritardo) e allo scontro tra candidature tradizionali, vorrà dire che non si è voluto cogliere i segni dei tempi. Tempi difficili nei quali, se si vuole recuperare una rotta e salvarci dalla tempesta, bisogna saper navigare in acque agitate e, insisto, coraggiosamente controcorrente. Soprattutto controcorrente!