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Gentiloni: chi ci governa si riempie la bocca col problema della sicurezza ma rischia di incrinare la nostra sicurezza anziché rafforzarla - intervista de Il Foglio

11 Settembre 2018

Parte una sfida europea che sarà cruciale. Congresso subito contro il modello Orbàn. Claudio Cerasa il 30 agosto ha intervistato a Ravenna Paolo Gentiloni alla Festa dell`Unità. Oggi su Il Foglio un estratto del colloquio.


Onorevole Gentiloni, la foto scattata a Milano qualche giorno fa che ha immortalato l’abbraccio tra Salvini e Orban è qualcosa di più di un semplice incrocio tra culture politiche simmetriche ma è il manifesto di un nuovo progetto politico. Cosa le fa paura di questo progetto e di quel possibile manifesto?

 
«Le prossime elezioni europee saranno un confronto tra due visioni opposte dell’Europa e noi siamo consapevoli di essere dalla parte giusta. Una visione dell’Europa che non è una difesa di ciò che esiste perché per noi l’Ue deve cambiare e deve diventare più forte nel difendere quei principi di democrazia, di libertà, di stato sociale e di diritti che abbiamo costruito negli ultimi sessanta anni. Salvini e Orbàn quelle cose le vogliono distruggere, noi le vogliamo rendere più forti. Quindi da oggi parte simbolicamente una risposta a quella foto di Milano. Noi siamo qui per ribadire che la sinistra europea, pur con tutte le sue difficoltà, sarà presente e giocherà la sua partita nelle prossime elezioni europee. I nostri valori restano e si faranno sentire e saranno la risposta all’Europa che non ci piace».
 

C’è però un discorso di realismo da fare. La politica è come il mercato e al momento c’è una domanda anti europeista molto forte che va spiegata e va affrontata, giusta o sbagliata che sia. Come si fa a rendere l’Ue qualcosa di sexy, di attraente. E come si fa a farlo in soli nove mesi?

 
«Bisogna fare due grandi operazioni. Una ha a che fare con la storia e la memoria. Non dobbiamo dimenticare che grazie all’Ue abbiamo conosciuto 60 anni di pace, qualcosa senza precedenti nella storia del nostro continente. Sessanta anni di diffusione di libertà e diritti. Il Portogallo, così come la Spagna e la Grecia, e così come per i Paesi del blocco sovietico, sono riusciti a trovare una piena libertà anche grazie all’Europa. L’Europa ha anche affermato lo stato sociale, il sistema di welfare. Non c’è in nessuna parte del mondo una realtà in cui la sanità pubblica e altri servizi sono garantiti dallo Stato. Di Orbàn non mi preoccupa solo la sua posizione sui migranti, ma anche la sua convinzione che si possa avere una democrazia senza valori liberali. Dunque, primo punto: non dobbiamo dimenticare la nostra storia. Il secondo obiettivo che dobbiamo avere sempre ben fissato in testo è quello di cambiarla davvero questa Europa. Non mi faccio chiudere in un meccanismo di semplice difesa dell’Ue, sarebbe un errore grave. Non possiamo presentarci in un confronto elettorale in cui noi difendiamo lo status quo. La contrapposizione non è tra chi dice che le cose nell’Ue vanno benissimo e chi le vuole cambiarle. La contrapposizione è tra chi questa Europa la vuole distruggere, perché il nazionalismo contro i vicini porta alla distruzione. La situazione attuale assomiglia tantissimo a delle cose terribili che sono accadute nel continente nel secolo scorso. Alcuni uomini di Stato oggi mi ricordano quei sonnambuli che nel 1913 non si resero conto il nazionalismo avrebbe prodotto una guerra. Questa è la loro idea di Europa. La nostra idea è di cambiarla questa Europa ed è anche della famiglia dei partiti socialisti e di Emmanuel Macron. Quante battaglie abbiamo fatto per completare l’unione monetaria, per introdurre un’assicurazione di disoccupazione nei momenti di crisi, un impegno vero per la crescita e gli investimenti? Da qui dobbiamo ripartire. Perché l’Europa insomma si salva solo se si rafforza, se rimane così corre il rischio di alimentare posizioni anti europee. Essere nostalgici nel mondo globalizzato non porta da nessuna parte. L’unico risultato che si ottiene è quello di alimentare tensioni, e si rischia anche di peggio. Quindi noi dobbiamo fare una campagna elettorale per avere un’Europa diversa, più vicina ai cittadini e più in grado di attrarre lavoro e investimenti. Un’Europa più forte non avrà diritto di cittadinanza per Salvini e per Orbàn e per chi la vuole distruggere. Non ci sono mai state delle elezioni europee così importanti come quelle che si svolgeranno l’anno prossimo».
 

Oggi per i progressisti europei Macron può rappresentare quello che ha rappresentato Obama negli ultimi anni? E la rupture di Macron con i partiti tradizionali è un modello da seguire o è un modello che non si può esportare? E la domanda vale per i partiti socialisti europei ma vale anche per il Pd.

 
«Non farei paragoni tra Obama e Macron, sono realtà molto diverse. Trovo però imbarazzante l’atteggiamento che alcuni membri del governo hanno nei confronti del Presidente della Repubblica francese. Il nostro ministro dell’Interno ha definito Macron un “demagogo chiacchierone”. Si può fare di tutto in politica però bisogna avere il senso della misura e bisogna mantenere dei buoni rapporti con i vicini e con i potenziali alleati. Chi ci governa si riempie la bocca col problema della sicurezza ma rischia di incrinare la nostra sicurezza anziché rafforzarla. Un paese che moltiplica i suoi nemici nella propria zona di riferimento e che prende a pesci in faccia la Tunisia e parla male del presidente francese non è un paese più sicuro ma è un paese in cerca di guai. Quanto a Macron, non dico di mettere il suo ritratto dietro alla scrivania però l’Italia e la Francia hanno un legame storico e con Macron si può lavorare insieme. Su diversi temi europei i punti di contatto tra noi e lui sono molto seri. Non dobbiamo creare dei miti ma dire semplicemente che abbiamo degli interessi geopolitici in comune con i paesi del Mediterraneo come Francia, Spagna, Cipro, Grecia e Portogallo anziché fare delle alleanze con dei paesi che non hanno niente da offrire a noi. Che bella l’alleanza mediterranea, altroché. E poi tra le forze progressiste e Macron c’è un punto di contatto, c’è un terreno possibile di collaborazione e di alleanza. E noi di questa alleanza abbiamo bisogno se non vogliamo consegnare l’Europa a una destra che non credo abbia i numeri per diventare fondamentale ma potrebbe comunque condizionare le cose. Se non facciamo un fronte comune al di là della nostra famiglia democratica e socialista, io penso che facciamo un errore. Così possiamo vincere e possiamo impedire ai nazionalisti di avere un’influenza che non vogliamo».
 

Bisogna riconoscere però che i partiti tradizionali si avvicinano alle europee in condizioni non facili. Questo vale per i socialisti e vale anche per il mondo conservatore. I consensi sono diminuiti, in particolare per la sinistra, e oggi è davvero raro in giro per l’Europa trovare dei progressisti saldamente al governo. Se Gentiloni dovesse scegliere una parola per rappresentare l’identità dei progressisti, quale sceglierebbe?

 
«Sceglierei la parola “libertà” però potrei dire “lavoro” o anche “pane e pace”. Non so se vi ricordate queste quattro parole. È incredibile, dal mio punto di vista, quanto gli appuntamenti della storia in un certo senso ci stiano risbattendo in faccia valori così fondamentali che noi avevamo considerato acquisiti per molti decenni. L’attualità in Europa di una battaglia per la libertà o per la pace o per il lavoro, e contro le diseguaglianze, era forse considerata un po’ superata. Penso che bisogna affrontare questi problemi naturalmente senza gli strumenti di venti o trenta anni fa ma guardando al futuro e quindi accettando le sfide delle nuove caratteristiche del lavoro e accettando la pace e le responsabilità che spettano all’ Europa. Anche perché è la stessa politica dell’amministrazione americana attuale a dire all’Europa “pensateci voi” e addirittura riproponendo con forza il problema della libertà. Perché una delle caratteristiche più allarmanti del populismo nazionalista che circola oggi in Europa è questa tendenza a considerare il nesso tra democrazia e libertà come un’opzione. Non è la prima volta che a venire al pettine sono valori fondamentali come il lavoro, l’ingiustizia sociale. Ho letto su un giornale qualche giorno fa che l’amministratore delegato di una grande e brillantissima multinazionale ha ritirato la sua quota annuale di stock option di azioni. Sapete a quanto ammontava? Centoventi milioni di dollari, che è il bilancio di un Paese africano. Noi che siamo cresciuti con l’idea di John Kennedy per cui in fondo la crescita economica aiutava a sollevare tutte le barche, ci dobbiamo abituare purtroppo all’idea che negli ultimi dieci anni non è stata una crescita che ha favorito tutti. Ha favorito alcuni e li ha favoriti in un modo senza precedenti come quantità di ricchezza. Ma ha lasciato una parte delle nostre classi medie, anche in Paesi ricchi come l’Italia, in una condizione molto difficile. Quindi per le elezioni europee faremo una battaglia per discutere delle regole dei codici di Bruxelles perché abbiamo bisogno di un’Europa che ci aiuti a dare più lavoro, più libertà, più pace, più diritti e più Stato sociale».
 

Non possiamo a questo non parlare anche del tema dell’immigrazione e delle difficoltà che incontra in tutta Europa il mondo progressista nell’affrontare il tema. Oggi una grande sfida per i partiti anti populisti è provare a essere popolari senza essere populisti, cioè riuscire a raccogliere il maggior numero di voti possibile senza scendere sullo stesso terreno degli estremisti. Come si può trovare una terza via?

 
«Io credo che abbiamo molti esempi in Europa di quello che bisogna fare. Il nostro governo ha mostrato quello che si poteva e che si deve fare, anche se ci è mancata una politica europea comune. Pensate che questa questione è insieme al lavoro la più importante all’interno di ciascun singolo paese europeo. Fino a due o tre anni fa l’Europa non aveva neanche uno straccio di politica comune. C’era una regola diventata famosissima, il Regolamento di Dublino, che era stato pensato per le persone che abbandonavano i regimi comunisti. Il Regolamento di Dublino nasce con l’idea di dare asilo ad alcune limitatissime persone che abbandonano quei regimi. Pensate quanto può essere adeguato ad un flusso di milioni di persone che vengono dall’Africa o scappano dalle guerre come accaduto per la Siria. Però, lasciatemi dire, penso che il nostro governo anche grazie alle ottime cose che ha fatto il ministro Minniti abbia mostrato in che modo si può fare questo lavoro. Penso che anche la Germania lo abbia fatto prendendosi i suoi rischi. Voi ricorderete che a un certo punto nel 2015 la signora Merkel cambiò posizione nel giro di due o tre settimane. Ci fu una famosissima immagine televisiva nella quale parlando con una bambina palestinese Angela Merkel la fece piangere dicendole: “Non c’è posto per tutti quindi tu non puoi rimanere in Germania”, e la bambina si mise a piangere. Passarono due settimane e la signora Merkel pronunciò una frase che molti dicono gli sarà costata parecchio nella sua carriera politica. Disse: “Questo problema siamo in grado di gestirlo”, e aprì le frontiere ai richiedenti asilo. Io penso che noi questo problema siamo in grado di gestirlo e penso che il nostro governo lo abbia dimostrato. Però qualcuno vuole trasformare in emergenza ciò che non è un’emergenza. Mi ha colpito qualche giorno fa che un po’ di giornali italiani hanno parlato di una riunione a Bruxelles – di un vertice addirittura – che si sarebbe tenuto su quella nave Diciotti che era trattenuta a Catania. Quella riunione era pensata sulle difficoltà migratorie in Spagna perché a partire da dicembre e gennaio di quest’anno gli sbarchi di migranti in Spagna sono stati molto più numerosi di quelli in Italia. Io non accetto l’idea di un governo che vuole trasformare in un’emergenza e in un fattore di paura e di tensione una realtà che siamo riusciti a mettere sotto controllo. Lungi da me sottovalutare che c’è un contenuto simbolico nelle paure e nella preoccupazione che i flussi migratori provocano e quindi capita spesso in molti Paesi europei, come l’Ungheria e l’Inghilterra, che le zone nelle quali le posizioni anti immigrati hanno più forza sono paradossalmente le zone in cui ci sono meno immigrati. C’è molta più protesta contro l’immigrazione nella periferia inglese che a Londra dove il numero di immigrati è enorme, stiamo parlando di oltre un terzo della popolazione di quella grande e meravigliosa città. Quindi io so bene che il disagio, le paure e le preoccupazioni per la propria identità culturale e religiosa dobbiamo prenderle sul serio. Quando dico che la risposta abbiamo dimostrato di saperla dare, lo rivendico a testa alta e non sottovaluto i rischi e le paure. Penso che abbiamo dimostrato che si può gestire questo problema ma che dobbiamo continuare a lavorare sulle paure, sull’integrazione, sul dialogo tra differenze culturali e religiose. Penso che dobbiamo farlo insieme a livello europeo. Se qualcuno pensa che questo impegno e questa solidarietà la troverà nei paesi che dicono no all’immigrazione si sbaglia di grosso. Mi ha colpito quello che ho sentito qualche giorno fa dal simpatico primo ministro della Repubblica Ceca. È venuto in visita dal primo ministro italiano che a quanto ho capito gli ha chiesto simbolicamente: “Ma tu caro Babi almeno un migrante te lo prendi a Praga in Repubblica Ceca?”. Il primo ministro ceco ha risposto: “No non me ne prendo neanche uno”. Questi sono gli amici di Salvini ma non sono i nostri amici. Attenzione: ci sarà una scelta da campo da fare e noi abbiamo molto chiaro da che parte del campo staremo».
 

Lei dice che la sinistra è dalla parte del giusto, ma si è chiesto allora perché gli elettori alle ultime elezioni sono andati dalla parte sbagliata?

 
«Se uno avesse una risposta facile a domande del genere gli darebbero il premio Nobel. Possiamo dire qualcosa stasera ma ne parleremo penso a lungo nelle prossime settimane, magari anche in un congresso del Pd che sarebbe utile fare quanto prima. So che Maurizio Martina è d’accordo con me. La spiegazione più semplice è che viviamo in uno strano paese in cui credo che l’ultimo partito di governo che ha vinto le elezioni è stata la Democrazia cristiana una trentina d’ anni fa. Nessun partito che è stato al governo ha mai vinto le elezioni in Italia. Oppure ce la potremmo cavare dicendo che siamo di fronte a una tendenza globale. Abbiamo visto quello che è successo negli Stati Uniti ma anche in altri paesi europei quindi siamo di fronte a una tendenza che non possiamo attribuire soltanto ai nostri errori. Penso anche che non possiamo solo accontentarci di queste spiegazioni, dobbiamo dirci francamente almeno un paio di cose. La prima è che dobbiamo essere più forti nel farci carico dei problemi della nostra comunità, non siamo stati sufficientemente in grado di farci carico del disagio, della paura, della rabbia contro le diseguaglianze e delle difficoltà che ha vissuto la nostra comunità. Ci siamo accontentati di rivendicare i risultati positivi che certamente c’erano stati nel prendere per i capelli il Paese che era sprofondato in una crisi drammatica. Però abbiamo un po’ perso di vista la sofferenza e il disagio quindi il primo messaggio è tornare a lavorare sulle difficoltà e sui problemi dei nostri concittadini con determinazione e con costanza. Il secondo messaggio è essere uniti e crederci. Qualcuno dice: “Ma perché tu o tanti nel Pd dite che bisogna fare al più presto un congresso così vi rimettete a discutere e a litigare?”. Ma guardate che noi non abbiamo bisogno di un congresso per discutere e per litigare. Possiamo dare una dimostrazione meravigliosa di un primato mondiale di quanto siamo stati capaci di discutere e di litigare continuamente a prescindere dai congressi. Ho la presunzione di credere che tra le tante cose negative la sberla che abbiamo preso il quattro marzo scorso almeno questo ce lo può avere insegnato. Noi non solo possiamo ma dobbiamo fare un congresso senza nessuna paura che questo porti a un litigio. Da quel confronto usciremo più forti e di questa forza abbiamo bisogno. L’avete visto anche con i fatti di questi giorni: la reazione che c’è stata a quell’incontro di Milano di cui abbiamo parlato anche fin troppo stasera. Tanta gente è andata in piazza anche per protestare contro quell’ideale di un’Italia che non è più l’Italia ma diventa amica di paesi nemici dell’Europa. Quanta gente si è mossa, si è mobilitata. Dobbiamo affrontare le prove delle prossime settimane e dei prossimi mesi. L’orizzonte è quello di cui abbiamo parlato stasera: la sfida e la scelta di campo delle prossime elezioni europee. Ma non dobbiamo perdere tempo, non dobbiamo rinviare, non siamo neanche sicuri di quanto tenga la situazione piuttosto irresponsabile nella quale è andato via via sprofondando l’attuale governo. Io non faccio pronostici ma penso che noi, cari amici, dobbiamo essere pronti rapidamente, a testa alta e a schiena dritta con la forza del Partito democratico, dei suoi alleati e della parte migliore della società italiana. Dobbiamo essere pronti alle sfide che avremmo senza perdere tempo e subito con forza. Grazie a tutti perché oggi parte una sfida europea che ci vedrà tra i protagonisti».


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