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Ma evitiamo che l’asse di governo si saldi. Con il proporzionale alleanze inevitabili - Intervista a Dario Franceschini del Corriere della Sera

03 Settembre 2018


Onorevole Franceschini, nel Pd c’è chi dice che lei voglia allearsi con i grillini.

 
«Non è possibile che chi pone un tema politico venga aggredito. Io non voglio fare un’alleanza con Di Maio. Il mio è un ragionamento diverso. Mentre la Lega è già configurata come un movimento di destra con delle posizioni estremiste, il M5S, sia nell’elettorato che nelle posizioni dei suoi esponenti, è più trasversale. Tant’è vero che dopo le elezioni con estrema leggerezza loro dicevano o facciamo il governo con il Pd o lo facciamo con la Lega. E io allora pensavo, anche se è inutile fare a posteriori la politica con i se e i ma, che non avremmo dovuto far saldare Lega e grillini, perché, come adesso si sta vedendo, Salvini sta risucchiando con la sua leadership M5S su posizioni di destra».
 

E come subentra il Pd a questo punto?

 
«Gran parte degli elettori del M5S hanno votato in passato per noi. Se siamo arrivati dal 41 per cento al i8 in 4 anni un motivo ci sarà. Non è che quegli elettori sono diventati improvvisamente dei pericolosi reazionari. Quindi è necessario un lavoro di recupero. Anche perché credo che per il bene del Paese, non per il nostro, occorra evitare che il rapporto Lega-M5S da un’alleanza temporanea diventi un blocco sociale, perché il rischio c’è. Se l’alleanza si estende alle regioni e ai comuni c’è il pericolo che si crei un blocco sociale unico egemonizzato dalle posizioni di estrema destra. lo penso che cercare di evitare questo sarebbe stato giusto per il Paese, non lo abbiamo fatto allora, dobbiamo farlo ora. Questo non vuol dire fare il governo con di Maio. Non facciamo confusione. Io pongo al Pd degli interrogativi: dobbiamo aspettare che le contraddizioni tra Lega e M5S esplodano o lavorare perché esplodano? Dobbiamo lavorare perché falliscano o dobbiamo solo aspettare che falliscano?».
 

E se questo governo cade si farà un esecutivo Pd-M5S?

 
«No, ma qualsiasi cosa è meglio di questo governo. Perché il danno che stanno facendo è enorme. Stanno già rovesciando la gerarchia condivisa dei valori di questo Paese, come dimostrano gli episodi di razzismo e di intolleranza di questi giorni. Vanno fermati il prima possibile».
 

Far scoppiare le contraddizioni, lei dice. Ma persino Di Battista sostiene che con il Pd non sarebbero riusciti a fare tutto quello che hanno fatto con la Lega.

 
«Questa è propaganda, ma, ripeto, non sto proponendo un’alleanza. Adesso sto dicendo che dobbiamo fare cadere questo governo perché è pericoloso. Poi c’è anche un tema di prospettiva, noi abbiamo scelto il proporzionale, perciò, se anche passassimo al 24, al 35 o 40 comunque non avremmo i numeri per governare da soli. Come dice Roberto D’Alimonte il tema delle alleanze è ineludibile e quindi dobbiamo lavorare per scomporre gli altri e per allargarci noi, recuperando anche i nostri elettori che hanno votato M5S, che, però, non tornano indietro automaticamente: dobbiamo ricostruire un progetto di cambiamento».
 

Se Renzi avesse candidato Gentiloni avreste perso meno elettori?

 
«Sì, il risultato sarebbe stato diverso. Bastava un semplice, minimo, atto di generosità da parte di chi guidava il Pd».
 

Anche senza scissione le cose sarebbero andate diversamente?

 
«E si sarebbe dovuto fare di più per evitarla. Loro hanno le maggiori responsabilità di quella rottura, ma noi abbiamo fatto troppo poco per scongiurarla».
 

Tornando all’oggi, il Pd va superato?

 
«Il Pd va rifondato, non superato. Il Partito democratico è nato per unire storie culture e provenienze diverse, e un partito grande, o che ambisce a tornare a essere grande, deve avere un pluralismo di leader e di posizioni. Poiché il Pd è già eterogeneo, dato che ci sono dentro Calenda e Damiano, perché non puoi avere Lorenzin ed Errani? Le diversità sono una ricchezza. Ma questo non vuole dire superare il Pd, significa rifondarlo nella forma organizzativa e nei contenuti».
 

Il Congresso va fatto in tempi brevi?

 
«Sì, entro febbraio o marzo al massimo, ricordandoci però che il Congresso non è solo l’elezione del leader. Dobbiamo ridiscutere tutto».
 

Si dice che lei voglia un candidato unitario.

 
«No, non penso a una candidatura unica di tutto il partito perché è ovvio che questo è un congresso che deve fare chiarezza sul fatto che la stagione 2013-2018 con le sue luci e le sue ombre si è chiusa il 4 marzo inesorabilmente. Non tornerà. Zingaretti per ora è l’unico candidato e il suo discorso a Cortona è stato molto convincente. Io penso che lui e Martina possano e debbano stare dalla stessa parte».


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