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Franco Mirabelli: Le ragioni della sconfitta e come ripartire

20 Marzo 2018

Assemblea PD del Municipio 9 di Milano ad Affori


Video sulle questioni del centrosinistra: https://youtu.be/LBb_tmVseMU

Video sul Mezzogiorno: https://youtu.be/95o7jNg2icU
Video sul PD e il Governo: https://youtu.be/Jzbw_gGjIKg

 

L’Assemblea del PD del Municipio 9 di Milano in Affori è la quinta a cui ho partecipato in questi giorni.

In tutte queste assemblee, mi hanno colpito la presenza di tante persone alla discussione ma soprattutto la qualità del dibattito, la ricerca e la voglia di approfondire le ragioni della sconfitta, senza scorciatoie.

Non vedo tutto questo nella discussione nazionale che viene riportata dagli organi di stampa.

Quando ragioniamo sul risultato elettorale dobbiamo evitare che la discussione sia polarizzata tra chi spiega che la colpa della sconfitta è attribuibile a Renzi e chi, invece, spiega che è di coloro che hanno impedito a Renzi di lavorare in quanto in disaccordo con lui.

Tutto il gruppo dirigente deve prendersi la responsabilità di questo risultato.

Penso, infatti, che questa non sia una discussione su un risultato elettorale negativo come tanti: purtroppo, questo risultato non è negativo come tanti ma, anzi, indica una difficoltà profonda di cui dobbiamo comprendere le ragioni per ripartire da lì.

Sarebbe sbagliato banalizzare le ragioni di questa sconfitta elettorale, cercare alibi o limitare la discussione a problemi di comunicazione e informazione (che pure ci sono stati): dobbiamo fare una discussione fino in fondo sul risultato elettorale.

Non è una novità che in Italia, nel momento in cui la politica appare nelle condizioni di rafforzarsi, chi lavora nell’informazione si adoperi per indebolirla ma non è questo il motivo di un risultato così negativo alle elezioni.

Sul piano nazionale è sbagliato saltare l’approfondimento dell’esito elettorale per iniziare subito a discutere del futuro Governo e dell’atteggiamento del PD rispetto a questo.

Prima di tutto, dobbiamo capire perché abbiamo perso le elezioni e perché le abbiamo perse in questo modo.

Dobbiamo anche dirci che abbiamo sottovalutato molte cose, partendo da lontano. Tra queste, abbiamo sottovalutato il fatto che alcune scelte di responsabilità che abbiamo fatto hanno rotto il rapporto con un pezzo di popolo. Ad esempio, durante il Governo Monti, quando il PD ha votato per la Legge Fornero si è rotto il rapporto con una parte del nostro popolo. Quel voto era imprescindibile ed è stato un gesto di responsabilità ma continuo a pensare che nel 2013 il PD non è riuscito ad intercettare il voto per il cambiamento ed è arrivato alla “non vittoria” anche per questo motivo.

Abbiamo fatto scelte necessarie, quindi, ma che ci hanno allontanate da un pezzo di popolo.

Tra queste anche l’aver fatto il Governo Letta insieme a Berlusconi. Non si poteva fare altrimenti vista la situazione di emergenza in cui si trovava ancora il Paese ma anche questo aspetto ha pesato.

 

Resto dell’idea che, comunque, siano vere le cose che abbiamo raccontato in campagna elettorale e, quindi, che abbiamo fatto molte riforme importanti per l’Italia.

Non cedo all’idea che il PD, con le riforme della legislatura appena conclusa, avrebbe favorito la precarizzazione e adesso arriverà il reddito di cittadinanza a risolvere problemi che non ci siamo posti. Oltretutto, l’ultima versione del reddito di cittadinanza è la somma di due cose che abbiamo fatto noi: il reddito di inclusione (magari con l’implementazione delle risorse a disposizione) e la NASPI (cioè la possibilità di dare una tutela a chiunque perda il lavoro, non solo ai dipendenti di aziende sopra ai 15 dipendenti, compresi i lavoratori autonomi e tutti quelli che non hanno mai avuto l’articolo 18).

In questi anni di Governo, quindi, il PD ha fatto molte cose importanti e non credo neanche che i cittadini non ne siano a conoscenza.

Tutte le associazioni sanno che è stata fatta riforma del Terzo Settore perché è stata scritta insieme a loro.

Le famiglie delle persone con disabilità sono consapevoli che è stata fatta una legge sul “Dopo di noi” perché è stata elaborata insieme a loro.

Il problema è che tutto questo non è stato sufficiente.

Non è stato ciò che abbiamo fatto il punto su cui abbiamo preso o perso voti: c’è molto altro e su questi aspetti bisogna ragionare.

 

Innanzitutto, dobbiamo sapere che la sinistra ha perso ovunque nel mondo ma il PD, nonostante il risultato negativo, è ancora il partito più forte della sinistra europea: i socialisti francesi sono scomparsi. Con uno scenario globale come questo, quindi, non ha senso ridurre la discussione a Renzi e alla comunicazione: è successo molto di più.

Se il problema fosse soltanto Renzi, qualcun altro avrebbe rappresentato la sinistra e avrebbe ottenuto consensi, invece, non è stato così.

I problemi, infatti, non riguardano solo il PD: c’è un centrosinistra da ricostruire e dobbiamo ricominciare a ragionare insieme agli altri. Il progetto politico di Liberi e Uguali è fallito perché non aveva fondamento: non c’era una sinistra vasta che non si riconosceva in Renzi e che sarebbe stata attratta da un altro partito. Questo perché oramai non c’è più nulla di stabile; il voto ideologico non c’è più: il voto va motivato, costruito.

L’esperienza di Liberi e Uguali ha ottenuto meno voti rispetto a Sinistra Ecologia e Libertà.

Ora, noi dobbiamo essere disponibili ad aprire un confronto e una discussione anche con le altre forze del centrosinistra, senza però rinunciare a rivendicare il valore delle cose che abbiamo fatto in questi anni, perché lì c’è la nostra idea di politica e di Paese.

Oltretutto, chiunque andrà al Governo non cancellerà le riforme che il PD ha fatto nel corso della scorsa legislatura: anche in campagna elettorale, infatti, Berlusconi ha riproposto più volte cose che erano state già approvate.

 

Uno dei grandi problemi su cui riflettere riguarda il fatto che viviamo nella globalizzazione e questo, nella testa delle persone, significa incertezza, precarietà: sono venuti a mancare punti di riferimento vicini e si è creata l’idea che le sorti del mondo e le decisioni passino altrove.

La Lega e i sovranisti, rispetto a questo scenario, hanno risposto di voler tornare indietro agli Stati nazionali, al chiudersi nella fortezza perché la globalizzazione fa paura.

La globalizzazione se viene poi associata alla crisi economica crea ansia.

In Italia, la crisi ha prodotto una diminuzione di due milioni e mezzo di posti di lavoro; una larga parte del ceto medio ha visto precipitare le proprie condizioni di vita per la prima volta dal dopoguerra.

In questo contesto sono cresciute le paure e le preoccupazioni: il disagio per l’immigrazione e il senso di insicurezza urbana sono tutti figli dell’idea che manchi qualcuno a proteggerci.

La sinistra non è riuscita a dare l’idea di essere in grado di proteggere le persone.

L’ultimo rapporto del Censis mostrava che il 70% degli italiani rispondeva che era migliorata la propria condizione di vita ma lo stato del Paese no. L’idea di fondo, infatti, è che al di là delle condizioni di vita delle singole persone ci sia incertezza rispetto al futuro e la percezione di non essere in grado di determinare il proprio futuro e quello dei propri figli.

Su questo aspetto la sinistra è sempre stata capace di dare risposte mentre oggi non lo è più. Non ci mancano le singole proposte sui vari problemi ma ci manca una prospettiva e una dimensione, un’idea di futuro e di società che sia credibile e forte per cui alla fine vince chi sostiene che bisogna tornare indietro.

 

Un’altra riflessione riguarda il fatto che abbiamo sottovalutato ciò che è successo con il referendum costituzionale.

Al momento del referendum costituzionale si è rotto un rapporto sentimentale con il Paese: in quella fase i cittadini hanno indicato che ci stavamo occupando di una cosa a cui attribuivamo tanta importanza quale è la riforma delle istituzioni mentre loro lamentavano altri problemi legati al sociale. Accanto a questo c’è stata una narrazione in cui si sono enfatizzati tutti i dati positivi, che aveva un senso per ridare fiducia e speranza al Paese perché l’Italia stava uscendo da una crisi difficile ma ha creato un cortocircuito con chi invece quei dati positivi non li percepiva nella propria vita quotidiana. Si è creato così uno scollamento.

Gentiloni, nel tempo in cui è stato al Governo, ha cercato di correggere questa narrazione, ricordando che ogni risultato era importante ma doveva essere messo a disposizione perché c’era una parte di Paese che ancora era in sofferenza.

 

Dobbiamo, dunque, domandarci cos’è successo perché siamo passati dal 40% per voti alle scorse elezioni europee al 18% del 4 marzo. A mio avviso, la motivazione è la stessa: il 40% dei voti ottenuti alle elezioni europee era legato al fatto che il PD di Renzi aveva saputo interpretare una domanda di rottura con l’establishment, di antisistema, di cambiamento e svecchiamento. La stessa domanda che adesso ha trovato risposta nel Movimento 5 Stelle anche perché, nel frattempo, il PD è stato percepito come l’establishment, anche in seguito ad alcuni errori che sono stati fatti.

Collegato a questo, c’è da dire che rispetto alla discussione che si sta facendo sulla mappa del voto, è sicuramente vero che il centrosinistra da diverso tempo tende a prevalere maggiormente nelle zone centrali delle città ma non credo che questo voglia dire che rappresentiamo i ricchi o le élite anche perché la categoria che ci vota in prevalenza è quella dei pensionati. Il punto, quindi, è che il PD rappresenta i garantiti e su questo bisogna riflettere.

 

Una discussione a parte la merita il Mezzogiorno: non si può spiegare un risultato elettorale del PD così negativo (come ad esempio l’8% in Campania) in Regioni dove il PD governa, dicendo che siccome c’è molta disoccupazione, i cittadini vogliono il reddito di cittadinanza. Affermare questo è autoassolutorio.

Un dato elettorale così negativo significa che in quelle zone c’è un fallimento nostro: in quei luoghi, governati dal PD, non abbiamo saputo dire che eravamo in grado di rompere con una politica dei capibastone e delle filiere, che è uguale a quella che facevano gli altri.

A Caserta, dove faccio il Commissario del PD, ci siamo battuti per due anni per cercare di costruire un Governo di centrosinistra in quell’area, visto che Forza Italia non c’era più e si poteva trovare lo spazio, dando l’idea di discontinuità rispetto al passato e mettendo al centro i cittadini e non gli interessi delle singole filiere, facendo vedere che si poteva operare con metodi diversi rispetto ad una politica che sfrutta il fatto che in molte realtà rappresenta l’unico ascensore sociale.

Ma se alla fine, la risposta è che ci adattiamo sempre a ritornare sui capibastone e su quelle logiche perché sembrano essere più rassicuranti, si sbaglia: queste logiche possono essere più rassicuranti se si vota con un sistema che va a preferenze come alle elezioni amministrative ma altrimenti, con sistemi come quello del referendum o delle elezioni politiche con liste bloccate, si crea la ribellione nella popolazione.

Ci sono iscritti al PD che hanno scritto con sofferenza non sarebbero andati a votare perché i candidati nascevano da quelle logiche.

Nel Mezzogiorno, quindi, c’è davvero da riformare il Partito Democratico.

 

Per il futuro, penso che abbiamo bisogno di rifondare il Partito Democratico, come è stato indicato anche alla Direzione Nazionale, ripartendo dai territori.

In molti circoli del PD non ci si è occupati dei problemi del territorio o ce ne siamo occupati male; in alcuni casi ci siamo schiacciati troppo sulle istituzioni, senza mai avere il rapporto diretto con i cittadini.

Dobbiamo ricominciare a fare delle campagne sui problemi concreti dei cittadini e intestarcele.

Bisogna, quindi, tornare sul territorio insieme ai circoli.

 

Adesso abbiamo un passaggio difficile da affrontare che riguarda il come organizziamo la nostra discussione.

Sui giornali, purtroppo, riusciamo a riprodurre continuamente l’idea di un partito che litiga.

In questa fase, oltretutto, non capisco su cosa staremmo litigando: al momento non esiste una proposta di Governo, nessuno ci ha chiesto i voti per fare un Governo e non si capisce perché dobbiamo già ricominciare a dividerci e a discutere se fare un referendum tra gli iscritti. La proposta uscita dalla Direzione Nazionale del PD e votata da tutti è seria e valida e afferma che il PD non è disponibile a portare voti ad un Governo a guida del Movimento 5 Stelle o ad un Governo guidato dal centrodestra (in particolare non è pensabile di sdoganare con i nostri voti un Governo guidato da Salvini che vuole sfasciare l’Europa e ha posizioni contrarie alle nostre) e se il Presidente della Repubblica dirà delle cose lo ascolteremo. Mi stupirei, comunque, se M5S e Lega venissero a chiederci sostegno.

A mio avviso, questo è un ragionamento comprensibile, eravamo tutti d’accordo e fatico a capire su cosa qualcuno sta cercando di innescare discussioni per dividere.

È chiaro che per il bene del Paese non auspico che ci sia un Governo M5S-Lega ma questo non vuol dire essere disponibili a sostenere una delle due forze per impedirlo.

 

Adesso abbiamo bisogno di rasserenare il clima e di ricreare l’unità. Abbiamo bisogno di andare all’Assemblea Nazionale per eleggere un Segretario, come prevede lo Statuto.

È chiaro che oggi le figure dei leader contano ancora molto ma adesso abbiamo bisogno di una fase che preveda il coinvolgimento di tutti e una maggiore collegialità.


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