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Tecnologia e lavoro, Parente: un liceo digitale per formare manager - intervista di QN Economia/Lavoro

15 Gennaio 2018

Tra computer pensanti e oggetti connessi, il futuro è già qui. Per formare i ragazzi all’uso delle nuove tecnologie, la senatrice Parente lancia un’idea: creare appositi licei digitali



di Alberto Pieri

Intelligenza artificiale, Idustria 4.0, Internet delle cose, robotica. Ma anche finanza digitale, e-commerce e via di seguito. Il futuro è già cominciato ma mercato del lavoro e scuola fanno fatica a tenere dietro al vortice di innovazione e ricerca in questi ambiti, Dunque: perché non sperimentare fin dalla scuola superiore un percorso di studi finalizzato a formare giovani diplomati in grado di maneggiare l’innovazione? Perché non sperimentare un liceo per la cultura digitale per avvicinare formazione dei giovani a esigenze del mercato del lavoro. E nuesta la proposta lanciata da Annamaria Parente, capogruppo Pd della Commissione Lavoro del Senato, una delle registe delle iniziative dem in materia di scuola e lavoro. E non a caso la proposta verrà rimessa in pista con le nuove Camere.
Che cosa intende con liceo per la cultura digitale?
«Un percorso di studi nella scuola secondaria superiore che sia centrale sul digitale come gli istituti tecnici lo sono sulla ragioneria, come i licei musicali lo sono sulla musica. Contribuiremo così a superare il paradosso di giovani che non trovano un’occupazione e aziende che non trovano le giuste professionalità (dai data scientist ai business analyst, dai project manager ai security analyst, per esempio, tra il 2016 e il 2018 si sono evidenziate almeno 85mila vacancies non coperte)».
E il liceo digitale potrebbe formare queste figure professionali?
«Il liceo deve dare gli strumenti, far sì che chi lo frequenta acquisisca la forma mentis adatta, per poi specializzarsi. Il digitale è già entrato nel lavoro e nella vita di chiunque in maniera prepotente. Guidare i giovani, fare in modo che conoscano opportunità ma anche rischi che, per esempio, derivano dal web è un valore aggiunto anche oltre il lavoro».
Può avere effetti anche sul fenomeno delle fake news…
«Certo, avere consapevolezza di fonti, modalità di ricerche approfondite e di riscontri può avere effetti su una migliore partecipazione in generale alla società di chi fa un percorso di questo tipo. Il digitale, tuttavia, non può restare relegato esclusivamente nei licei di questo tipo. Occorre, assieme a chi ha responsabilità nell’Istruzione, far sì che tutti i percorsi di studi abbiano tempi e strumenti adeguati per la diffusione della cultura digitale. Accade già in alcuni contesti, occorre fare di più e meglio».
Perché solo ora questa proposta?
«Perché nasce dal confronto di questi mesi con giovani, famiglie, imprese: è emersa fortissima come esigenza per tutti. E perché tutte le ricerche nazionali e internazionali sottolineano il gap esistente tra formazione e lavoro (da ultimo il rapporto dell’Ocse sulle competenze) e tutte le proiezioni evidenziano che sarà sempre più quella la direzione per chi cerca un posto: il digitale. I bambini di oggi lavoreranno con competenze che in questo momento nemmeno conosciamo, e però saranno sicuramente favoriti da una conoscenza strutturata del mondo digitale».
Crede sia una proposta che possa essere condivisa di là da appartenenze partitiche?
«Me lo auguro perché si tratta di un tema troppo importante per relegarlo a questione di parte. Sui contenuti credo ci siano i margini per discutere con tutti e cercare il modo migliore per avviare la sperimentazione. Quel che posso confermare è che dopo averne parlato in una occasione pubblica a metà dicembre in Senato sono arrivati numerosi segnali di apprezzamento dal mondo accademico, da associazioni di genitori, da associazioni di giovani, da colleghi di partito e – per ora privatamente – anche da rappresentanti politici di altri partiti. L’auspicio è che ci sia lo spazio per avviare presto una sperimentazione che è utile a tutti».


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