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Contro la vanità della forza, in un giovane e inedito Aldo Moro - dal blog su l'Huffington Post di David Sassoli, vicepresidente del Parlamento europeo

09 Maggio 2017

Marzo 1977. Conferenza nazionale organizzativa della DC al Palazzo dei Congressi. Nella foto, il presidente del partito Aldo Moro e Flaminio Piccoli

Ogni anno, da quasi 40 anni, nuovi libri su Aldo Moro riempiono gli scaffali delle librerie. Si tratta di un appuntamento fisso per la nostra editoria, che ad ogni anniversario propone ricerche per rievocare la figura e l'opera dello statista democristiano o per indagare nei passaggi ancora non chiariti del rapimento e dell'omicidio. Anche quest'anno tanti titoli ci consegnano nuove riflessioni. Il campo di ricerca è vasto, in alcuni aspetti ancora inesplorato. La sua lunga attività politica e i tanti passaggi che lo hanno visto protagonista fanno di Moro "un sacerdote della Repubblica": uomo del dialogo, paziente costruttore di equilibri politici sempre più avanzati, protagonista di mediazioni ritenute impossibili. Una responsabilità politica vissuta ai vertici dello Stato per quasi trent'anni, ma mai interpretata nella dimensione della "politique politicienne" o condotta nell'esercizio della forza. Un impegno pubblico che corre parallelo alla sua attività di studio e insegnamento. E ad una attività pubblicistica iniziata da ragazzo e proseguita per tutta la vita. La produzione è molto vasta.

Anche nella fase della sua formazione, la riflessione sui temi dell'attualità è costante e si caratterizza per profondità e originalità. Molto noti i suoi articoli per la rivista Studium, citati spesso dagli studiosi come una palestra per il giovane presidente nazionale della FUCI. Siamo alla vigilia della guerra, nel 1939. Poi la biografia sfuma, con riferimenti al servizio militare e all'inizio della sua carriera universitaria per poi riprendere con l'ingresso nella Dc e l'elezione all'Assemblea costituente.

Fra le novità in libreria, in questo 39esimo anniversario della morte, una ricerca che si sofferma sugli anni meno noti della vita del giovane Moro. Vanno dal 1943 al '45, e ripropongono una notevole mole di scritti pubblicati su una rivista nata nell'Italia del Sud appena liberata, "La Rassegna" di Bari: "La vanità della forza", a cura di Lucio D'Ubaldo, ed. Eurilink.

Si tratta di un periodico laico, di tendenza liberal-azionista, nel quale il cattolico Moro, già terziario domenicano come Giorgio La Pira, si trova a proprio agio. È un cenacolo di giovani intellettuali, differenti per sensibilità e formazione. Gli avvenimenti presi in esame spaziano dalla disastrosa situazione italiana, con il fronte del Nord ancora in fiamme, alle questioni internazionali, dai temi della moralità pubblica alle scelte della Chiesa nei confronti della democrazia. Sono anni fragili e ancora in bilico. A grandi speranze fanno da contraltare enormi delusioni e paure. Gli interventi di Aldo Moro non lo nascondono e anzi costituiscono un viaggio nella formazione del terreno di gioco che di lì a poco vedrà scendere in campo le grandi forze politiche del Dopoguerra.

Molti aspetti del carattere di Moro sono quelli che ritroveremo nella maturità: analisi puntigliosa e sofferta delle vicende politiche, capacità nel cogliere particolari apparentemente di secondo piano, uso accurato delle parole, sguardo attento ai valori di riferimento. Slegato da responsabilità pubbliche, vi troviamo anche toni piuttosto radicali che ricordano gli anticonformisti francesi degli anni '30, ad esempio nel giudizio sulle generazioni che hanno condotto alla guerra e ai notabilati dell'epoca prefascista che si ripropongono, come nulla fosse accaduto, come i protagonisti della nuova Italia liberata. Su tutto, tira un humus personalista, alla Mounier di Esprit, che non rifiuta la polemica e non disdegna di mostrarsi intransigente. Tanti i giudizi e i commenti che anticipano anche il Moro protagonista di tante battaglie politiche: "Se ci illuderemo che conquistare il potere voglia dire conquistare il mondo, noi serviremo soltanto a coloro che, sbarrandoci la strada, potranno dire di avere vinto un avversario e di essere perciò i migliori", scrive in una nota del '44 facendo leva sul concetto di prudenza per ricordare che il compito della politica non è il potere ma la sua umanità. Con "la vanità della forza", al contrario, si rischia di compromettere l'esperienza democratica.

Nell'epoca della post-democrazia e delle fake news molte osservazioni ci riguardano ancora, perché anche oggi abbiamo bisogno di "costituire una riserva contro la disperazione dello scetticismo", senza dimenticare che "forme e parole sono sostanza in questo mondo disorientato".


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