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Così s'indebolisce Gentiloni se ci dividiamo nessuno capirà – intervista de La Stampa a Piero Fassino

18 Febbraio 2017




di Fabio Martini

Di treni lanciati a tutta velocità uno contro l’altro e che poi hanno scartato all’ultimo momento, Piero Fassino ne ha visti tanti e in questa occasione l`ex leader dei Ds si esprime col classico ottimismo della volontà: «I margini sono ristretti, ma anche in casi come questi, la soluzione si può trovare in extremis, nell’ultima notte, che mi auguro porti consiglio a tutti. Il punto che ci divide non è se indire o no il congresso. E neppure l’auspicio comune che sia un congresso vero. Di congressi ne ho fatti tanti e di finti non ne ho mai visti. Si mettono in gioco sentimenti, emozioni, passioni di tanta gente. Il dissenso oggi è su quando farlo. E allora cerchiamo di capire come farlo nel migliore dei modi, con un percorso congressuale condiviso da tutti. Nessuno imponga condizioni all’altro».

 

Gli appelli si sprecano, i generali sembrano fermi…
«In queste ore c’è una domanda corale che sale da tutta la nostra gente: elettori, amministratori, dirigenti: scongiurare la scissione, che sarebbe drammatica per tutti. Il Pd si ritroverebbe mutilato, governo e maggioranza sarebbero indeboliti proprio da chi invece sostiene di voler sostenere il governo. La riorganizzazione del campo del centrosinistra risulterebbe più difficile. Si offrirebbe ai Cinque Stelle e alla destra l’occasione per un successo alle elezioni amministrative di giugno. E si comprometterebbe il progetto del Pd,  sul quale abbiamo investito in questi 20 anni, che è anche l’unico progetto di governo di cui dispone il Paese. Il danno non sarebbe solo al Pd, ma all’Italia».

 

Le minoranze si sono fatte paladine del governo, ma con un Pd indebolito, le macerie di una scissione e una legge elettorale ancora più difficile, la strada delle elezioni non finirebbe per diventare obbligata?

«Anzitutto, diciamo chiaramente che non c`è alcun automatismo tra congresso e durata del governo. Questo è accaduto solo in casi eccezionali. I congressi sono fatti per decidere la politica di un partito e anche stavolta è così. Il governo Gentiloni è in carica, è nella pienezza dei poteri, gode di un’ottima immagine e la sua durata dipende, come sempre, da un insieme di fattori. Una scissione, anche a prescindere dalla volontà dei suoi promotori, rischierebbe di indebolire il governo. Se anche l’ipotetico nuovo partito dichiarasse il suo sostegno, la maggioranza si ritroverebbe inevitabilmente percorsa da tensioni».

 

Lei auspica che il percorso sia condiviso da tutti: una data a metà strada potrebbe essere l’uovo di Colombo?
«Si sta verificando se esiste una possibilità di accordo sui tempi del congresso, individuando un percorso condiviso da tutti. E io lancio ancora un appello affinché ogni dirigente metta nella ricerca di una soluzione unitaria, la stessa determinazione  con cui finora ha sostenuto le proprie tesi».

 

Lei conosce il popolo che viene dalla storia post-comunista: una parte si appella all’unitarismo tipico di quella tradizione e una parte dice a chi vuole uscire, “non tornate indietro”: questa seconda spinta prevarrà?
«La stragrande maggioranza dei nostri elettori, compresi quelli che hanno votato no al referendum. non vogliono separazioni. Perché sono ben consapevoli che la forza del Pd sta nella sua unità».

 

Lei è famoso per il carattere sanguigno ma anche per le doti di mediatore: cosa consiglierebbe a Renzi che col carattere si è fatto largo ma ha anche allargato le distanze?
«Gli consiglio di utilizzare la sua forte personalità e la sua verve per realizzare una unità più alta e più forte nel Pd. Per essere il segretario di tutti».


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