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Renzi: un Sì anti sistema - intervista de Il Giorno al Presidente del Consiglio

22 Novembre 2016

«Non è in discussione l’Euro». Un po’ a sorpresa, il premier Matteo Renzi butta acqua sul fuoco dell’incendio appiccato dal Financial Times: se pure vincesse il No, dice, non c’è il rischio di una Italexit. «Piuttosto – rilancia provocatoriamente – sono in discussione i tanti euro che si prendono i politici a cominciare dai fondi del Senato che servono ai Cinque Stelle per pagare affitti e bollette». Ma in gioco il 4 dicembre c’è molto altro: la sua poltrona («se perdo mi tiro fuori»), la credibilità del Paese («il Sì serve per contare di più a Bruxelles), la semplificazione di un sistema. «Non riesco a immaginare una riforma più ‘rottamatrice’ di questa», sottolinea.
 
Come rottamatrice? Presidente Renzi, non è diventato un custode dell’establishment? In fin dei conti Confindustria, Banca d’Italia e Goldman Sachs sono schierati per il Sì.
 
«Questa riforma cambia le cose, semplifica, riduce la burocrazia. Dunque è contro la Casta, contro il sistema vigente: non a caso la proponevamo dai tempi della Leopolda».
 
Ritiene che i grillini, entrando nei palazzi, siano diventati Casta?
 
«Sì. Ormai è ovvio. Firme false, difesa degli indagati, affitti pagati con fondi del Senato. Grillo alza i toni parlando di serial killer perché si rende conto che in questo momento i suoi elettori iniziano a farsi domande: molti Cinque Stelle vorrebbero votare i tagli alla Casta e non capiscono perché Grillo li stia portando con D’Alema e Cirino Pomicino, con De Mita e Mario Monti. Ma la nostra strategia dev’essere semplice: non accettare provocazioni e restare nel merito».
 
La sostanza appunto: secondo i suoi avversari, la riforma cambia l’Italia ma in peggio. Perché non spiega quali benefici ci saranno per il Paese in concreto sul piano internazionale se vincerà il Sì? E sul piano interno che cosa cambierà?
 
«Più credibilità a livello internazionale: utilissima per cambiare la politica dell’Europa sull’immigrazione. Noi vogliamo cambiare ma abbiamo bisogno di un governo forte, non di un governo tecnico che dice sempre sì ai voleri di Bruxelles. Sul piano interno: più semplicità. Così potremo continuare nella riduzione delle tasse: dopo Imu, Ires, Irap, tasse agricole e 80 euro toccherà finalmente all’Irpef. E regole uguali in tutte le regioni per chi perde lavoro, così da aiutare i disoccupati. Si parla di cose concrete, non di concetti astratti».
 
Angela Merkel si ricandida per la quarta volta in Germania contro i populisti: il populismo è davvero il rischio di questo referendum?
 
«No, il populismo non è il problema di questo referendum. Anzi: chi è contro il sistema secondo me voterà per il Sì. Scusi: ma lei ce li vede i cittadini mettersi in fila al seggio per votare contro la riduzione degli sprechi, delle poltrone, degli enti inutili? La gente sa come votare. E la domanda è chiara: io sono molto fiducioso».
 
Pensa davvero che la partita sia ancora aperta?
 
«Penso che il referendum si giocherà sul filo dei voti. E che Toscana e Emilia saranno decisive. Per questo passerò anche da Bologna e Firenze. Ma prima mi sembrava giusto salutare gli amici di Piombino, Livorno, Pisa, Reggio Emilia, Modena. Gente tosta, decisiva. La vittoria del Sì dipende dall’impegno e dall’affluenza di questi territori».
 
Sinceramente: quanto ha complicato questa battaglia la rottura del Nazareno?
 
«Molto. Berlusconi è stato per me incomprensibile. Penso che molti dei suoi elettori, però, voteranno Sì. Perché non hanno voglia di fare vincere gli estremisti nel centrodestra, né di ridare la sinistra alla vecchia guardia né di dare il potere a Grillo. Ho molta fiducia negli elettori del centrodestra italiano. Magari non mi voteranno mai alle politiche, ma vedrete che al referendum saranno in maggioranza per il Sì. Del resto questa riforma l’ha scritta anche Forza Italia prima di cambiare idea».
 
A proposito: qual è il No che l’ha ferita di più, quello che non si aspettava? Il No di Berlusconi? Dell’Anpi? Della Cgil? Della minoranza Pd?
 
«Nessun No mi ferisce. Rispettare il voto degli altri è la prima strada per essere democratici davvero. Dunque se qualcuno vota No non mi ferisce, ma esercita il suo dovere di cittadino come chi vota Sì».
 
Negli ultimi giorni, lei ha attaccato frontalmente il variegato schieramento del No: criticarlo per la sua eterogeneità non è un argomento strettamente politico, che gira attorno a una possibile maggioranza di governo alternativa alla sua?
 
«Io non attacco nessuno. Dico solo che i leader del fronte del No non hanno un’alternativa. Ma sono tutti bravi ad andare contro. Per me la politica si fa per qualcosa, non contro qualcuno».
 
Presidente, lei ha prima personalizzato il referendum, poi ha tentato di spersonalizzarlo ma, di fatto, è l’unico testimonial del Sì. Non pensa che il tentativo di fare marcia indietro non sia stato percepito dagli elettori?
 
«Nessuna marcia indietro. È ovvio che io sono in campagna. Ho 41 anni e sono stato chiamato a governare il Paese per cambiarlo. Non sono aggrappato alla poltrona, non ho nulla da chiedere: nel caso in cui le cose vadano male non sarò della partita, dico no agli inciuci. Se metto in gioco tutto è perché penso che l’Italia possa finalmente cambiare. E se cambia le cose vanno meglio per tutti. Detto questo, ci sono centinaia di testimonial per il Sì in questo referendum: sindaci, imprenditori, operai, attori, cantanti, uomini dello sport, gente comune. Siamo quasi a diecimila comitati, migliaia di iniziative. Ma davvero vogliamo lasciare l’Italia ferma al palo anche stavolta? Davvero vogliamo buttar via la possibilità di fare del nostro Paese il punto di forza del cambiamento europeo?».
 
Intanto, da Palazzo Chigi partono messaggi contraddittori. Lei sostiene che un voto contrario alle riforme non è l’Apocalisse. però il ministro dell’Economia, Padoan continua a dire che lo è: può chiarire una volta per tutte quali saranno gli effetti di un voto negativo?
 
«Padoan non parla dell’Apocalisse. Dice che ci saranno ripercussioni. E se lo dice lui mi fido perché è persona saggia e razionale. A me non preoccupano i mercati finanziari: quelli se la cavano sempre. Ma i mercati rionali, sì. La gente semplice. Le famiglie che fanno fatica. Mi attaccano per gli 80 euro agli operai e agli impiegati e poi vogliono tenersi i superstipendi del Senato: a me sembra una grande contraddizione. La crisi l’hanno pagata le famiglie, non i finanzieri. Voglio che vinca il Sì anche per evitare l’aumento dello spread e per permettere all’Italia di essere più forte».
 
Indipendentemente dal fatto che sarà lei a guidarlo, permetterà la nascita di un governo che faccia la legge elettorale e poi porti alle elezioni se vince il No?
 
«Non tocca a me decidere. Il Parlamento è sovrano».
 
Tra quelli che dovranno dire la propria opinione, dopo il referendum, c’è pure il Pd. A proposito: quali scenari si apriranno nel partito? Se lei batte il No il 4 dicembre, andrà alla resa dei conti? In caso contrario, resterà segretario del Pd?
 
«Non credo che serva parlare ancora di dibattito interno al Pd. Nessuno ne può più. Questo referendum non è il congresso del Pd. Questo referendum ormai riguarda i cittadini, non i politici. E io ho fiducia nei miei connazionali. La matita in mano ce l’hanno loro. Io credo nella possibilità di cambiare. Dopo due anni a Palazzo Chigi le dico che l’Italia può davvero svoltare. Ma per farlo basta con le burocrazie e i soliti noti, bisogna cambiare. Se non vogliono cambiare e vogliono tenersi la palude, io non sono più quello adatto».
 
Mettiamo che vinca il Sì: terrà fede alle promesse fatte sulla legge elettorale? Gianni Cuperlo deve stare sereno?
 
«Abbiamo fatto un accordo, lo rispetteremo. Poi naturalmente dovremo coinvolgere gli altri partiti. Ma rispetteremo gli accordi».


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