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Renzi: il vero salva banche è la crescita - intervista in esclusiva per CNBC e ClassCNBC al Premier italiano

02 Agosto 2016


Mezz’ora di domande e risposte spaziando dagli stress test delle banche europee alle prossime presidenziali americane. Matteo Renzi non si è risparmiato in questa intervista esclusiva rilasciata a Cnbc e a Class Cnbc.

Domanda. Presidente, partiamo dalle banche. Lei ha detto che gli stress test sono stati una grande successo per l’Italia. Perché?
Risposta. Penso che gli stress test mostrino che le banche italiane non sono il problema dell’Europa. E questa è la novità. Se pensiamo agli ultimi 12 mesi, quante volte abbiamo letto che le banche italiane erano il problema dell’Europa, ma questo non è vero e i risultati degli esami lo mostrano chiaramente. Abbiamo la migliore banca europea, Intesa Sanpaolo, e abbiamo 4 banche su 5 in buona salute. Certo c’è un problema, quello legato al Monte dei Paschi, ed è un fatto risaputo. Abbiamo lavorato duramente per trovare una soluzione non pubblica, di mercato, per dare a questa grande banca una prospettiva e un’opportunità, una volta ripulita dai crediti deteriorati. Quindi sono soddisfatto dei risultati. Però penso che ci serva una diversa strategia per il futuro delle istituzioni europee perché il messaggio è chiaro: è il momento di creare una nuova direzione economica in Europa. Questo è il mio punto di vista.

D. Come ha detto, Mps ha trovato una soluzione di mercato ma ci sono state ricapitalizzazioni in passato. Perché gli investitori dovrebbero credere che questa sia la soluzione definitiva?
R. Perché per la prima volta abbiamo eliminato il problema dei non performing loan. Lasciatemi essere davvero chiaro: sappiamo che l’economia italiana ha sofferto molto per come sono andati gli ultimi 5, forse 10 anni. Nei primi 50 anni del dopoguerra quella italiana è stata l’economia con la maggior crescita d’Europa, ma dopo Maastricht l’Italia è diventata il problema delle istituzioni europee. Particolarmente nell’ultimo periodo - per colpa della classe politica italiana che non è riuscita a raggiungere gli obbiettivi di riforma previsti - l’Italia è finita all’ultimo posto in termini di crescita e disoccupazione. Inoltre in quest’ultimo periodo le banche italiane si sono trovate senza supporto pubblico. Una decisione secondo me sbagliata, ma presa dai miei predecessori. E senza supporto pubblico il livello di crediti deteriorati non ha fatto che aumentare. Ma è normale se hai dieci anni di crisi e tre di recessione, come è normale per le banche europee e italiane avere molti npl. Ora, per la prima volta, Monte dei Paschisi ritrova senza questi crediti, perché l’operazione condotta con il fondo Atlante ha ripulito tutti gli npl nella banca. Quindi questa è la fine.

D. Si tratta comunque solo di una perte degli npl presenti nell’intero settore bancario.
R. Io penso che il modo migliore di risolvere il problema degli npl sia la crescita. E questa è la mia priorità, il mio sogno e il mio incubo. Ci penso ogni giorno: crescita, crescita, crescita. Sono diventato primo ministro dopo due anni di recessione e il mio primo obiettivo non è stato il jobs act o la legge di riforma delle banche popolari, o la riforma costituzionale, o la legge elettorale. La vera priorità e il primo risultato da raggiungere - per me - è stato quello di vedere l’Italia che ritorna a crescere. Detto questo, il modello di Atlante può dimostrare chiaramente agli investitori internazionali e ai mercati, che la situazione degli npl non è il disastro che è stato raccontato negli ultimi mesi.

D. Ma non è sufficiente. Atlante non è abbastanza grande per risolvere l’intero problema.
R. Personalmente sono più preoccupato per il futuro delle istituzioni europee che per gli npl italiani, e per la situazione di altre banche europee, dei loro strumenti finanziari.

D. Sta parlando della Germania?
R. Certo, anche della Germania. La nostra economia è molto molto vicina a quella tedesca, in particolare lo è quella del nostro Nord est. Sfortunatamente noi abbiamo due Italia diverse. C’è l’Italia del Nord, che è assolutamente vicina alla Germania e alla sua economia, con performance perfino migliori in molti campi. E c’è l’Italia del Sud, dove la priorità è quella di garantire legalità, trasparenza, processi corretti contro la corruzione e l’inefficienza della pubblica amministrazione. Quindi sì, sono preoccupato per le altre banche, ma voglio anche dire che gli npl italiani in questo momento ammontano più o meno a 80 miliardi, contro un prodotto interno lordo che è venti volte tanto. Per il resto d’accordo, diciamo che abbiamo un problema. E dobbiamo anche ridurre i tempi della giustizia civile. E che questa è una priorità per il governo. Abbiamo già ottenuto risultati ma dobbiamo mettere mano al pregresso di questi anni. Non è però un problema orribile. Io sono d’accordo con il ceo di Intesa, Carlo Messina, quando dice che i nostri risparmi privati sono di alta qualità. Risparmi da tripla A.

D. Può garantire che nessun piccolo azionista delle banche italiane o detentore di bond sarà coinvolto nel bail-in. Lei finora ha combattuto per questo a Bruxelles.
R. Sì, ho combattuto per questo e anche per evitare rischi per gli investitori istituzionali, perché penso che sia tempo di aprire al mercato le porte dell’Italia, dando garanzie sia per i piccoli investitori sia per quelli istituzionali.

D. Quindi non ci saranno bail-in in Italia?
R. Personalmente non sono d’accordo su questa legge europea, che ovviamente rispetto. Non sono d’accordo perché credo che la priorità del momento sia dare fiducia ai cittadini e se continuiamo sulla strada del bail-in rischiamo di toglierla la fiducia. E questo è un errore. Non son neanche d’accordo con le norme sull’austerity in Europa ma come presidente del Consiglio dei ministri e primo ministro ridurrò il livello di deficit come non è mai stato fatto dai miei predecessori, questo per dire che rispetto comunque le norme. Però il mio punto di vista è che se l’Europa vuole essere protagonista dei mercati internazionali, come i nostri competitori americani o asiatici, ha bisogno di un rinnovato sentimento di fiducia dei cittadini europei. Quindi non posso entrare nel dettaglio ma posso dire che l’Italia sta battendosi con tutte le sue forze per evitare un bail-in, perché anche un’eventuale versione soft di quest’ultimo potrebbe essere un disastro per la credibilità e la fiducia. Questa è la ragione per la quale mi sono battuto per la soluzione di mercato. E ce n’è anche un’altra: cancellare l’ingerenza politica nelle banche. Lasciatemi essere chiaro: in Italia per un lungo periodo, per tante volte e in tanti anni, i politici sono arrivati ovunque. La politica decide le carriere nelle università, i ruoli nelle banche, qualsiasi cosa. Io credo in un modello differente di democrazia, molto simile a quello anglosassone. Un modello nel quale noi ci occupiamo del governo e vogliamo, certo, che si rispettino le leggi, ma le banche devono essere nelle mani del mercato, non in quelle dei politici, particolarmente di quelli locali, e questa è la ragione per la quale ho varato la riforma delle banche popolari.

D. Ritornando a alla battaglia con i regolatori europei sulle norme del bail-in, pensa che gli investitori debbano dare più fiducia alle banche italiane e che queste siano sottovalutate?
R. Le nostre banche sono buone e anche Mps lo è. È una grande banca e ora, senza npl in pancia e con una chiara strategia, può diventare un’ottima banca. Ovviamente non penso solo a Siena, ma a tutte le banche, e in particolare a una grande banca che in questo momento ha bisogno di ricapitalizzazione ma questo è il mercato e decideremo nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. Penso che l’Italia sia una grande Paese per gli investitori internazionali. Abbiamo cambiato il mercato del lavoro e la legislazione in materia dopo 40 anni di polemiche. Per un anno ho avuto un milione di persone nelle strade che protestavano, ho subito gli attacchi dei sindacati, ma i risultati sono stati positivi. A oggi abbiamo creato 600 mila nuovi posti di lavoro. È un’evoluzione incredibile, con il 75% di posizioni stabili. È davvero un risultato importante. Quindi la nuova legislazione sul lavoro e - altra cosa davvero importante per me - la riforma della Costituzione, aiutano la semplificazione. E questo permette una maggiore efficienza. Solo per fare un esempio l’Italia è il Paese con il maggior numero di corpi di polizia. Non parlo di agenti, ma di strutture. Ne abbiamo 5, li vogliamo ridurre almeno a 4. E vogliamo ridurre il numero dei politici. Ci stiamo battendo per questo e per ridurre a burocrazia. Ecco perché l’Italia adesso è pronta a ricevere gli investitori internazionali. E io penso che le banche italiane possano giocare un ruolo importante in questa nuova strategia. E la cosa davvero importante è far fare un passo indietro alla politica e dare a tutti il messaggio che ora è il tempo del mercato, non dei politici.

D. Parliamo della riforma della Costituzione e del suo referendum per il quale si voterà verso fine anno. Ce la farà a vincere?
R. Sono sicuro di vincere ma non si tratta di una mia vittoria, non è referendum sul mio futuro.

D. Lei lo ha fatto diventare tale.
R. Ho usato espressioni forti sul mio futuro, anche perché come insegna l’esperienza britannica, non puoi perdere un referendum e tornare il giorno dopo come se niente fosse successo. Non è corretto. Ma la priorità in questo momento non è il mio futuro. Il referendum riguarda due differenti modelli. Uno è quello attuale, nel quale l’Italia è il Paese con un alto numero di senatori e parlamentari, ben 945. Negli Stati Uniti ce ne sono la metà. Voglio dire: capisco l’importanza dell’Italia ma avere il doppio dei parlamentari degli Stati Uniti mi sembra troppo. E poi il referendum riguarda il potere delle regioni, e il voto di fiducia al governo. l’Italia è l’unico Paese, tra quelli occidentali, con un doppio voto di fiducia e questo significa tante cose. Solo per fare un esempio il mio governo è il 63esimo in 70 anni, 63 governi perché con questo doppio voto di fiducia è troppo facile cambiare maggioranza provocando instabilità. Ecco perché il referendum riguarda il futuro di tutto il paese e sono sicuro che gli italiani, se leggeranno bene il quesito referendario, voteranno per il cambiamento.

D. Ma perché ci sono così tanti indecisi. Al momento sono il 40%. Come farà a convincere la gente?
R. La nostra forza sarà la realtà, spiegare ai cittadini come stanno veramente le cose. Gli stessi sondaggi lo presentano come il referendum su Renzi, noi chiariremo che è referendum e basta. Un referendum che chiede: volete mille membri del Parlamento, mille politici o volete ridurre il loro numero? Sono un sostenitore della politica ma non di troppi politici. Così voglio chiedere alla gente: volete stabilità, come negli altri Paesi del mondo, o oppure continuare a cambiare governo secondo le idee dei politici romani? Quindi se pensiamo alle banche, al jobs act, alle riforme costituzionali è chiaro che siamo davanti a due differenti rappresentazioni della stesso panorama, in grado di dare allo stesso tempo al Paese un ridotto numero di politici e una maggiore efficienza. E questo è importante non per me, ma per il futuro, perché penso che l’Italia, in Europa, sia il Paese più importante in termini di creatività, qualità delle relazioni tra cultura, turismo e formazione. L’Italia può giocare un ruolo nei prossimi 10-20 anni se riesce a ridurre il livello di difficoltà creato dalla classe politica.

D. È ancora convinto di dare le dimissioni se perde?
R. Io vincerò.

D. Ma se perde?
R. Vincerò. Ma penso che la gente debba capire che tipo di instabilità possa dipendere da questo risultato. Le conseguenze di un voto contrario non riguarderebbero solo i continui cambiamenti di governo. C’è il rischio, se si guarda ai sondaggi, di trovarsi in una situazione nella quale potrebbe essere il movimento cinque stelle a guidare questo paese, quindi è giusto che la gente capisca cosa significa votare. Lo abbiamo imparato dalla Gran Bretagna. Penso però che ora la priorità sia investire nella campagna elettorale, non giocando sulle paure di una possibile vittoria degli altri ma comunicando che cosa accadrebbe se alla fine si dovesse scegliere la continuità. Puntare la campagna elettorale sui possibili rischi, sul populismo, l’ascesa dei cinque stelle, sarebbe un errore. Si deve invece fornire un messaggio chiaro. Credo che gli italiani siano un popolo serio e credo nel mio Paese e nei suoi cittadini. Queste riforme arrivano dopo anni di discussioni, dopo 43 anni nei quali i miei predecessori hanno parlato di riforme senza raggiungere alcun risultato. Noi abbiamo raggiunto un obbiettivo e ora torniamo dal corpo elettorale per chiedergli: «Volete cambiare e scegliere il futuro, o volete continuare con questo modello e distruggere le prospettive di crescita degli ultimi anni in Italia?». Questo è il punto e questa è la sfida. E sono fiducioso perché credo nell’Italia. Poi, ovviamente, rispetterò le decisioni dei miei cittadini ma penso che quando i sondaggi cominceranno a indagare sulle reali questioni in ballo con questo referendum, il risultato sarà chiaro a tutti.

D. Perché lei e il suo partito avete perso consensi a favore dei cinque stelle? Pensa che la gente si aspettasse di più da voi?
R. Dopo le ultime elezioni amministrative molti politici, giornalisti e anche una parte dell’opinione pubblica si sono convinti che sia stata una vittoria dei sinque stelle. Il motivo? Perché il movimento cinque stelle ha vinto due importanti città come Roma e Torino. Vero, e lasciatemi essere chiaro su questo: sono pronto a supportare il lavoro dei nuovi sindaci perché c’è molto lavoro da fare a livello istituzionale e la cooperazione è una priorità. Ma un’elezione amministrativa non può essere un sondaggio sulla politica nazionale perché se si guardano i risultati ci si accorge che abbiamo vinto più o meno nel 60-65% delle città. E negli ultimi due anni abbiamo avuto la maggioranza in termini di voti e di amministrazioni conquistate. E ci sono differenze tra le diverse città e le stesse regioni. È capitato che in una città ci sia stata una grande vittoria del mio partito e in un’altra vicina quella del movimento a cinque stelle, oppure del centrodestra. Perché anche il partito di Berlusconi ha vinto in alcune situazioni. Quindi la mia opinione è che le elezioni amministrative debbano essere considerate solo tali. La scelta a cui gli italiani ora sono di fronte è completamente diversa: per la prima volta un governo ha realizzato in due anni una lunga serie di riforme e non sto a discutere ora nemmeno se se siano positive. Si tratta comunque di una novità per la politica italiana visto che abitualmente a ogni elezione i politici ripetono le stesse cose: cambieremo il mercato del lavoro, la Costituzione, la pubblica amministrazione. Ora c’è un governo che lo ha fatto davvero, dimostrando agli italiani che cambiare è possibile. E questo è davvero importante.

D. Però con i cinque stelle la partita è diversa. Per loro lei non è diverso dai suoi predecessori. La paragonano a Berlusconi, dicono che anche sulla corruzione non è cambiato nulla. Perché si sente differente?
D. la differenza è ovvia, è nelle cose che vediamo ogni giorno. Pensi alle nuove leggi contro la corruzione, l’aumento delle pene per esempio. Abbiamo creato un’authority anti-corruzione e a guidarla ho chiamato un ex giudice anti-mafia. Grazie a questi sforzi abbiamo raggiunto un risultato come la gestione dell’Expo. Quando sono diventato premier il primo messaggio che ho ricevuto era: «Stai lontano da Expo, perché è pieno di corruzione». La mia reazione è stata di chiamare Cantone. Abbiamo lavorato davvero duramente e, continuando a combattere contro la corruzione, abbiamo organizzato un grande Expo. I cinque stelle dicevano «No, no, è impossibile organizzare Expo». Invece abbiamo vinto questa battaglia. In realtà è molto facile quando sei all’opposizione dire «non cambia niente, è sempre lo stesso». L’Italia ha perso l’occasione per combattere la corruzione in passato, ora invece siamo incredibilmente determinati a combatterla. E credo sarà davvero interessante vedere quali risultati otterranno i cinque stelle nelle città che stanno amministrando. Perché anche se non sono contento di aver perso le elezioni, diciamo che a Roma c’è una grande opportunità per vedere cosa sanno fare veramente. Se stai in Parlamento a dire «no, no, no» porti a casa voti di protesta, ma se sei responsabile del governo, diventa quella la vera sfida.

D. Cambiando tema, la Brexit ha colpito le banche italiane perché c’è chi pensa che la prossima tessera del domino europeo a cadere possa essere il suo Paese. Ha notato un cambiamento nella posizione di Angela Merkel o di Francois Hollande sull’Italia? Stanno cercando di aiutarvi a superare l’euroscetticismo che si sta diffondendo anche da voi?
R. Non penso che sia corretto porre la questione in questo modo. Con Angela e Francois lavoriamo insieme per ridurre lo scetticismo che c’è in Europa, Il problema non è italiano, ma diffuso. In Europa ci sono tanti problemi e la Brexit ha suonato la sveglia. È stata una pessima notizia, certo, ma può allo stesso tempo rappresentare un’opportunità per cambiare registro. Io credo che in Europa non si debba solo discutere di finanza, ma di valori umani, del futuro degli studenti, di fabbriche 4.0. Il mondo oggi non è più quello di dieci anni fa e se lasciamo il dibattito solo ai tecnocrati che discutono di regole tecniche, allora l’Europa è finita. Quindi il problema non è se Angela e Francois possano aiutare me a convincere gli italiani, ma se tutti insieme possiamo convincere i cittadini dei nostri rispettivi Paesi a considerare l’Europa come il luogo dove si possano sviluppare gli ideali della democrazia. È il motivo per cui il 22 agosto, per un vertice, ospiterò Angela e Francois in un’isola molto particolare, Ventotene, dove Altiero Spinelli scrisse il manifesto che ipotizzava gli Stati Uniti d’Europa.

D. A proposito di Stati Uniti, cosa pensa di Donald Trump?
R. Non ricordo il nome dell’esponente repubblicano che ha detto di essere pronto a collaborare con il prossimo presidente, chiunque essa sia. Scherzi a parte, come primo ministro italiano sono pronto a lavorare con il prossimo presidente degli Stati Uniti e non intendo entrare dentro questioni di politica interna americana, ma spero che il livello di confidenza, amicizia e collaborazione non cambino rispetto rispetto al rapporto che c’è stato con il presidente Barack Obama, Un uomo che ha veramente cambiato la storia. Molti in Europa pensano che Hillary Clinton, per esperienza, conoscenza dei dossier e storia personale sarebbe un comandante in capo adeguato al ruolo, alla leadership e alla posizione degli Stati Uniti. Se mi chiede un auspicio, è ovvio che io risponda che preferirei la vittoria dei democratici, anche perché l’elezione di una donna, dopo gli otto anni di un presidente nero, avrebbe un ulteriore significato di cambiamento. Ma io non voto in America e rispetto le scelte di una grande democrazia. (riproduzione riservata)


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