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La Brexit sta cambiando gli europei. Lo dicono i sondaggi nei 27 Paesi - dal blog sull'Huffington Post del vice presidente del Parlamento europeo David Sassoli

18 Luglio 2016

La Brexit sta cambiando gli europei. O meglio, sta producendo l'esatto contrario dell'effetto sperato dai promotori del referendum: scatenare un effetto domino per disgregare l'Unione europea. Niente di tutto questo sta avvenendo negli Stati membri. Senso di appartenenza e convenienza prevalgono sulle spinte anti-europee e in molti casi fanno recuperare consenso all'Europa.

La documentazione raccolta da Eurobarometro, contenente le rilevazioni condotte nei singoli paesi della Ue, in alcuni casi anche più di una, consentono un primo esame delle reazioni delle opinioni pubbliche all'uscita della Gran Bretagna e offrono una chiave di lettura per affrontare una delle stagioni più difficili della moderna storia europea. Si tratta di una carrellata di sondaggi a caldo, con i limiti che questo strumento possiede. Ma come vedremo, in alcuni casi, i dati sono talmente eloquenti da non sopportare smentite.

In un solo paese, l'Olanda, il fuoco anti-europeo non si smorza. In tutti gli altri, la Brexit fa recuperare quel senso di appartenenza all'Europa anche da parte di segmenti di elettorato che si erano mostrati favorevoli a una uscita dall'Ue. In molti Stati membri, infatti, c'è un prima e un dopo la Brexit. È il caso della Polonia, dove le spinte anti-europee hanno portato al governo un partito dichiaratamente secessionista. I dati che arrivano da Varsavia sono clamorosi. L'84% dei cittadini giudica positivamente l'adesione all'Ue e l'83% voterebbe per restare in Europa in caso di referendum. Ma non solo, interessante anche il rapporto dei polacchi con l'euro. La maggioranza dei cittadini - 72% - vorrebbe tenersi lo zloty, la moneta nazionale, ma se l'appartenenza all'Unione europea dipendesse dall'introduzione dell'Euro, i favorevoli all'Euro salirebbero al 50 per cento. E restiamo nel nord Europa. In Danimarca, il sostegno all'Unione europea è salito di dieci punti rispetto a un sondaggio tenuto poco prima il referendum britannico: dal 59,8 al 69 per cento. Stesso trend si registra in Finlandia, con circa il 68% che dichiara di voler rimanere. Si registra un clima più europeista anche in Germania, con la Merkel che torna agli indici di popolarità che aveva prima della crisi dei profughi.

Il sondaggio realizzato da Infratest Dimap l'8 luglio, riferisce di un incremento del 2 per cento in favore della Cdu e di 1 punto per la Spd. Di contro vengono rilevati 3 punti in meno - 11% - per la destra xenofoba di Alternative für Deutschland. Sulla Brexit, comunque, i tedeschi sono perentori: scelta sbagliata dichiara il 63% dei cittadini. Fra le pieghe di sondaggi condotti da vari istituti tedeschi, anche una chiara indicazione di marcia: per il 70% degli intervistati, l'Unione europea dovrebbe essere "completamente riformata". Un filo rosso, insomma, lega le opinioni pubbliche di paesi in cui il vento anti-europeo aveva tirato forte. È il caso dell'Ungheria. Per l'indagine condotta da Nézöpont Institute, subito dopo la Brexit, il 60% dei cittadini ha considerato l'esito del referendum sfavorevole per l'Ungheria e il 64% non condividerebbe l'ipotesi di promuovere una consultazione sull'adesione all'Unione. Solo il 12% considera l'esito della Brexit "una decisione giusta".

Sulla stessa lunghezza d'onda anche la Grecia, paese in cui il riferimento all'Europa non è stato in questi anni molto popolare: per il 47% il referendum britannico è stata una "cattiva cosa", a fronte del 27% di favorevoli all'uscita. Se si passa poi a giudicare l'ipotesi di condurre la Grecia fuori dall'Ue, i contrari sarebbero il 41%, i favorevoli il 20%, e né contrari né favorevoli il 25% mentre il 14% non sa rispondere. Ma continuiamo nell'interessante carrellata di umori. Nella Repubblica d'Irlanda, se si svolgesse un referendum, il no all'uscita sarebbe sostenuto dall'80% dei cittadini. In Italia, nei sondaggi pre-Brexit il 58% degli intervistati si era espresso favorevolmente sulla proposta di promuovere un referendum sulla permanenza nell'Unione. Dopo la consultazione britannica la cifra è scesa al 44 per cento. Paura di fare la stessa fine? Probabile. Secondo l''istituto Ixe i favorevoli a far svolgere un referendum sarebbero il 28%. E secondo Demopolis, l'80% dei cittadini è decisamente convinto che l'Italia debba restare nella Ue.

Più equilibrato il quadro francese. Il Fronte nazionale di Marine Le Pen resta stabile nei sondaggi, ma i francesi - 61% - pensano che abbandonare l'Unione sarebbe "molto grave" e produrrebbe guasti incalcolabili sul piano economico. Articolate le risposte sul gradimento rispetto alle istituzioni europee che avrebbero promosso, per il 68% degli intervistati, "politiche sbagliate". E di gran lunga al primo posto per quanto riguarda le priorità scelte per raddrizzare la barca, i francesi indicano - 40 % - uno stop alle adesioni di nuovi Stati all'Unione europea.

Il caos politico e le difficoltà economiche sembrano aver avuto effetto anche in Austria, paese spaccato a metà nelle recenti presidenziali di maggio, poi recentemente annullate. Il sondaggio Gallup del 5-6 luglio rileva che il 52% degli austriaci è convinto che serve rimanere, il 30% che occorre chiudere con l'esperienza europea, il resto non ha nessuna idea in proposito. Da notare, però, che mentre i favorevoli aumentano solo di un punto percentuale rispetto alla settimana precedente il referendum, il fronte anti-europeo perde 8 punti. In Austria anche un altro sondaggio (ÖGfE) mostra una decisa inversione di tendenza: 61% sarebbe per restare, 23% per andar via, 16% non sa. Il cambiamento di umori fra gli elettori austriaci potrebbe avere effetti anche nelle prossime elezioni presidenziali, tanto che il leader euro-scettico e anti-immigrazione, Norbert Hofer, ha dichiarato a Die Presse di non essere mai stato "a favore dell'uscita dell'Austria dall'Unione europea": "Se l'Austria dovesse lasciare l'Ue sarebbe indubbiamente danneggiata".

E vediamo cosa accede in Olanda, considerato uno dei paesi che potrebbe seguire l'esempio del Regno Unito. In leggero calo il partito di estrema destra, Libertà, di Geert Wilders ancora ampiamente in testa nei sondaggi. Gli tengono il passo formazioni europeiste come la Dc e i liberali D66. Anche se il primo ministro Mark Rutte ha dichiarato che un referendum non sarebbe nell'interesse dei Paesi Bassi, gli olandesi non sembrano cambiare idea rispetto alla vigilia della Brexit: 48% dei cittadini vorrebbe uscire, 45% rimanere. Un fronte caldo, quello olandese, in controtendenza, che non subisce gli effetti, politici e psicologici, provocati dal referendum nel Regno Unito.

Nella maggior parte degli Stati, invece, la Brexit è sinonimo di crollo economico e incertezza sociale. Avventure a cui in molti non vogliono partecipare. Ma gli umori delle opinioni pubbliche europee dicono anche altro. E lo indirizzano direttamente alla politica e ai governi: questo è il momento di osare, di spingere per una maggiore integrazione al servizio dei cittadini e di scommettere per una governance più democratica dell'Europa. Se non ora, d'altronde, quando?


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