Ettore Rosato, capogruppo del Pd alla Camera ROMA - "L'analisi post-voto di Romano Prodi è molto condivisibile e profonda: la crescita dei populismi e la rottura dell'ascensore sociale sono punti centrali rispetto a un'osservazione della società italiana colpita dall'insicurezza economica". Ettore Rosato, capogruppo del Pd alla Camera,concorda con il pensiero dell'ex premier intervistato daRepubblica dopo le comunali, soprattutto sulla necessità di innovare le politiche per dare risposte concrete a quella fascia di popolazione che oggi è in maggior difficoltà.

Rosato, perché la proposta del Pd non ha convinto gli elettori?
"Abbiamo creato un'aspettativa molto importante rispetto alla soluzione dei problemi del lavoro, dell'occupazione, dell'ammodernamento dello Stato. Ma queste risposte non sono arrivate con i tempi in cui le persone legittimamente se le aspettavano".

I Cinque Stelle hanno saputo interpretare meglio le paure sociali diffuse?
"Penso che molte delle risposte dei Cinque Stelle siano slogan che non migliorano la vita di nessuno. Anche loro sono chiamati alla prova del governo. Dove hanno governato fino adesso non hanno dimostrato di saper trasformare gli slogan in fatti concreti. Vedremo come si comporteranno in due grandi città come Roma e Torino".

È d'accordo con quanti ritengono che abbia vinto il "nuovismo"? Trionfano i volti nuovi a prescindere dai contenuti?
"È una chiave interpretativa che non mi convince, tant'è che a Benevento ha vinto Clemente Mastella, che di certo non è un personaggio politico nuovo. A Milano la competizione tra Sala e Parisi si è svolta su un terreno di merito, sul piano dei contenuti. E per noi questo ha pagato. Dove si è lavorato più sull'emotività, la speranza che dagli slogan si potesse arrivare a delle soluzioni ha attecchito sull'elettorato. Quindi non è solo una questione di volti nuovi, che pure hanno la loro importanza. Il problema di fondo è la costruzione di un rapporto più solido con i propri concittadini. E il Pd deve ricostruire questo rapporto lì dove si è sfilacciato".

Se il Pd è malato, qual è la medicina?
"C'è bisogno di una cura interna, di un rafforzamento del gruppo dirigente, di sentirsi tutti di più a casa propria nel partito. Ma penso che la cura debba essere anche esterna. Non possiamo ridurre la crisi che stiamo attraversando a una questione di organigrammi, che peraltro interessa poco ai nostri elettori. C'è un problema di come rappresentiamo fuori le cose che facciamo".

La vostra narrazione politica è stata poco chiara?
"Esatto, dobbiamo riuscire invece a far vedere i cambiamenti e le riforme profonde che stiamo facendo, alcune delle quali sono sempre state manifesti elettorali della sinistra: pensiamo, ad esempio, al tema dei diritti che abbiamo affrontato con forza in questa legislatura. E poi bisogna adeguare le nostre politiche ai problemi reali, come quello impellente delle periferie. Abbiamo stanziato
500 milioni di euro in legge di Stabilità per le aree periferiche, ma gli interventi non sono ancora partiti perchè le dinamiche della macchina pubblica non sono capaci di dare risposte immediate così come richiesto dai cittadini".