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Il cardinal Vallini alla città di Roma: solo con una nuova partecipazione si potrà uscire dal degrado - articolo di David Sassoli dall'Huffington Post

07 Novembre 2015



Dopo anni di silenzio, la lettera alla città di Roma ha il merito di aver risvegliato la comunità ecclesiale. La capitale vive un momento drammatico della sua storia e il sonno era durato troppo a lungo. Troppo per una chiesa che tutti i giorni mette le mani nelle sofferenze delle persone, nei drammi dell'esclusione, nella solitudine di anziani abbandonati, nelle ferite aperte dalla crisi economica, nella cura dei migranti. Ai cristiani il cardinal Vallini ricorda che devono sentirsi cittadini a tutti gli effetti, che la politica dev'essere un servizio alla comunità. Due richiami, stranamente non citati, fanno da sottofondo alle parole del vicario del papa. Si sente il profumo della Lettera a Diogneto, con la forte consapevolezza dei cristiani a vivere in mezzo alla gente, come vive la gente.

Al tempo stesso, riemerge la priorità di un impegno della chiesa nella formazione delle coscienze, dopo anni di crisi morale che hanno visto protagonisti astuti teorici dei valori non negoziabili, secondo le sollecitazioni di Paolo VI a considerare la politica una forma "alta" di carità. La lettera alla città chiama i cristiani ad assumersi responsabilità e a non aver paura della politica. Invita la chiesa a pensare alla propria conversione per contribuire alla rinascita della capitale. Se si riducesse soltanto ad un'analisi sociologica dei guasti e delle malattie provocate "dagli altri", sarebbe poca cosa. Di certo, una occasione mancata per spalancare, avrebbe detto don Luigi Di Liegro, "le porte allo Spirito e ai suoi doni": "E' normale che la Chiesa ritrovi i doni dello Spirito quando cessa di dare fiducia ai poteri economici, politici, sociali e culturali, per essere di nuovo una Chiesa povera, di gente povera".
Il tono usato dal cardinale è tutt'altro che clericale, non prefigura nuovi collateralismi, né richiama all'unità dei cattolici in politica. L'indicazione che emerge è di uscire dal torpore e riappropriarsi della vita, in tutti i suoi aspetti e ad ogni livello. Richiama, ad esempio, a considerare la partecipazione alla vita pubblica come il motore dei meccanismi democratici, e a non farsi risucchiare nelle logiche oligarchiche tanto care ai poteri romani. La democrazia non è cosa solo da insegnare, ma da far vivere come partecipazione ai destini del consorzio comunitario civile. Non può ridursi a regole.

L'analisi delle tragedie è autentica e impietosa. "La corruzione, l'impoverimento urbanistico e ambientale, la crisi economica hanno investito pesantemente lo spazio fisico, l'identità collettiva e la coesione sociale", scrive il cardinale. Che aggiunge, declinando le conseguenze dei mali di Roma nella carne viva dei cittadini: "Aumentano le povertà, non solo materiali, che alimentano nuovi e profondi squilibri. La sfiducia nelle istituzioni civili e la perdita del senso di appartenenza sociale producono stili di vita sempre più individualistici. Ne conseguono forti tensioni sociali, in particolare di fronte alla sfida dell'immigrazione. L'assetto urbanistico, oggi ulteriormente polverizzato, non ha aiutato l'integrazione. Il centro storico si sta progressivamente svuotando di abitanti residenti e si trasforma in centro della politica e in distretto turistico. Roma sta diventando la sua periferia". Questo senso di di abbandono descritto da mons. Vallini ci conforta nella necessità - come abbiamo proposto proprio su L'HuffingtonPost - di una grande riforma amministrativa, per consentire a vaste aree della capitale di diventare città e uscire da uno stato endemico di marginalità. Ma tant'è, degrado materiale e degrado morale corrono di pari passo nelle strade di Roma. E richiedono cambiamento e conversione.

Impietoso il giudizio sulla classe politica: "Non si può negare che una delle cause dell'attuale situazione di crisi debba essere individuata anche nella debolezza di parte della classe dirigente. Troppo spesso persone di valore non hanno la forza di esprimere la propria vocazione al servizio del bene comune e di incidere beneficamente sulla società, mentre altri per brama di potere e desiderio smodato di arricchimento occupano posti nella direzione e gestione delle istituzioni senza le doti, la motivazione e la competenza necessarie per promuovere programmi e politiche di equità sociale a favore di tutti i cittadini. Ne derivano nella vita della città vistosi squilibri tra chi è garantito in posizioni di sicurezza e tranquillità e quanti, deboli, meno provveduti o meno capaci, sono condannati ad una vita difficile, pesante, se non addirittura ad essere esclusi".

Il cardinale parla ai cittadini e alla chiesa attraversata da scandali, percorsa da una cultura attenta al denaro e con "faraoni" che tradiscono la propria missione. Un tassello mancante riguarda i beni della Curia romana. Ma il tracciato di un profondo rinnovamento è indicato e sarà impossibile per tutti ignorare la richiesta ad una forte discontinuità.


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