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Emanuele Fiano: ecco cosa farei se fossi sindaco di Milano - intervista de l'Espresso

05 Ottobre 2015

Il candidato alle primarie del Pd si racconta. E spiega le sue ricette per l'emergenza sicurezza, la gestione dell'immigrazione e il dopo Expo. Svelando anche quando e perché ha deciso di scendere in politica



Emanuele Fiano “Il sindaco a Milano deve avere la testa in centro e i piedi nelle periferie. In centro perché è luogo di idee, creatività ed offerta. Nelle periferie perché è là che la maggioranza dei milanesi vive, dove esistono sacche di disagio che vanno combattute. Con le braccia deve abbracciare tutta la metropoli per  tenere insieme le tante diverse anime che compongono questa bellissima città. Io sono pronto a farlo”. Emanuele Fiano scende in campo e si propone come candidato sindaco di Milano per il Centro Sinistra. Il Partito Democratico si sta preparando alle primarie, che si terranno il prossimo 7 febbraio, e che stabiliranno chi sarà la persona che guiderà la coalizione nella sfida contro il Centrodestra per governare la città.

A concorrere ci sono, oltre a Fiano, anche l’attuale  assessore alle politiche sociali Pierfrancesco Majorino e l’ex presidente del Consiglio provinciale milanese Roberto Caputo. Non è escluso, però, che qualche nuovo nome si inserisca all’ultimo. Molti militanti ritengono infatti che Matteo Renzi possa imporre un proprio candidato per dare una manifestazione di forza rispetto alle minoranze interne al partito, aggirando le primarie. Una possibilità, questa, che Fiano non esclude ma al contempo non approva:” A Milano si gioca una partita nazionale e i grandi cambiamenti  partono da qui. Si sentono tante voci in giro. In questo momento, però, il Pd ha bisogno di partecipazione, quindi delle primarie, alle quali noi ci stiamo preparando. Se ci sono candidature i cui nomi non sono ancora note dovranno presentarsi davanti al popolo del Centrosinistra”.

Milanese, 52 anni, Emanuele è figlio di Nedo Fiano, deportato ad Auschwitz e unico superstite di tutta la sua famiglia. All’Espresso racconta di come la sua storia famigliare abbia fortemente influenzato i suoi valori, le sue scelte di vita, la sua volontà di entrare in politica e di abbracciare la religione ebraica. “Mio padre mi ha trasmesso la convinzione che bisogna essere ebrei professando il messaggio più universale che viene da questa fede, che è una fede laica perché riguarda i valori universali dell’uomo. La politica è venuta fuori come un elemento della mia persona e storia. Voglio impegnarmi perché le tragedie cha ha vissuto la mia famiglia non avvengano più in nessuna parte del mondo”.

Dopo la laurea in architettura Fiano si è trasferito con la sua famiglia in Israele, andando a vivere in un kibbutz. Ritornato in Italia, ha iniziato la sua attività nella comunità ebraica di Milano, che ha presieduto dal 1998 al 2001. Parallelamente si è candidato al consiglio comunale con i Ds, diventando capogruppo dell’opposizione. “Ho aperto la comunità ebraica verso la città di Milano” spiega.” Tutto ha avuto inizio quando portai alcuni suoi membri ad un evento presso la Camera del Lavoro. In quell’occasione nacque l’idea di candidarmi al consiglio comunale, mi presentai, venni eletto e iniziai la mia carriera politica”. Diventato Deputato  ha aderito al Partito Democratico ed oggi è il Presidente dell’associazione politica Sinistra per Israele e del Forum Sicurezza e Difesa del Governo. Il suo sogno, però, è quello di rientrare a Milano. “Ho voglia di tornare a lavorare nella mia comunità. Più che fare le leggi e sedere in parlamento amo stare a contatto con i problemi delle persone per cercare di risolverli”.

Onorevole Fiano, il prossimo sindaco di Milano dovrà sicuramente fare i conti con l’emergenza sicurezza e immigrazione. Se ad occupare quel ruolo fosse Lei, quale sarebbe la ricetta che adotterebbe?
“Ci sono tre punti dai quali partirei. I primi due sono di carattere nazionale: servono un investimento sulle forze dell’ordine – cosa che il governo sta attualmente facendo – e la certezza della pena. Non servono i carro armati per le strade, ma chi delinque deve andare incontro a sanzioni certe.  A Milano, invece, il comune dovrebbe fare rispettare le regole, sgomberando le occupazioni di case e i campi abusivi. Le occupazioni a Milano sono tantissime e portano a situazioni di insicurezza sociale, dove fioriscono elementi di criminalità e di soprusi. Gli sgomberi da soli, però, non sono sufficienti. Devono essere accompagnati da una ristrutturazione delle tante case fatiscenti di proprietà del comune e della regione. Sbraitare contro la problematica dell’immigrazione e poi ignorare che gran parte di questi immigrati si ritrova a vivere in queste case occupate fa crescere una patologia che porta verso un disastro sociale”.

Un altro aspetto fondamentale che interessa la sicurezza e la tutela della legalità a Milano è il contrasto alle organizzazioni mafiose. Come agirebbe in questo senso?
“A Milano la mafia esiste e va combattuta controllando che queste organizzazioni non entrino nell’amministrazione pubblica. Se fossi sindaco rafforzerei le autorità anti-corruzione, che già esistono, perché facciano un’analisi preventiva degli appalti pubblici, che è dove la mafia si inserisce per guadagnare. In secondo luogo vigilerei sull’assegnazione del personale del comune. Infine mi impegnerei perché i beni sequestrati alle mafie vengano riutilizzati per rilanciare le aree in cui si trovano. La Lombardia è tra le prime regioni italiane per numero di sequestri di beni mafiosi. Riutilizzarli vuol dire non solo renderli motore di sviluppo del territorio, ma anche lanciare un importante segnale simbolico e culturale di riscossa contro la criminalità organizzata”.

Un’altra grande sfida che vedrà protagonista il prossimo sindaco sarà la gestione del dopo-Expo.
“Expo è una grandissima opportunità per Milano, soprattutto perché ci permette di diventare una capitale internazionale. Dobbiamo renderci conto che dopo un evento di tale portata Milano non sarà più la stessa e noi dobbiamo orientarne il cambiamento in senso positivo. Dobbiamo trasformarci in una città metropolitana, che si allarghi alle periferie, ridistribuisca gli spazi, accolga nuove persone e abbia nuovi poteri per fare tutto ciò. Dobbiamo rilanciare il dopo-Expo cercando di coinvolgere il governo e rendere la città un luogo di mescolanza positiva tra imprese giovani e attrazione di capitali”.

Lei è famoso per la sua lotta contro l’estremismo di destra e per avere proposto l’applicazione integrale della legge Mancino, che sanziona e condanna azioni e slogan legati all'ideologia fascista. Come si comporterebbe su questo fronte se fosse sindaco?
“Applicherei  le leggi nazionali. Nei prossimi  giorni presenterò una modifica del codice penale perché l’apologia di fascismo diventi reato, cosa che attualmente non è previsto dal codice, ma solo da alcune leggi. Per me il fascismo non è un’idea, ma un crimine che non è mediabile con i valori democratici. La questione è più attuale che mai: in Europa stiamo vivendo un momento di crisi e, a seguito dei problemi legati all’immigrazione, riemerge il razzismo, che è uno degli elementi delle ideologie totalitarie. E’ una problematica che ci toccherà per molto tempo e che anche Milano deve prepararsi ad affrontare in maniera profonda. Antifascismo per me non vuol dire solo il rispetto delle leggi che vietano la ricostituzione del disciolto partito fascista, ma risolvere i problemi che generano questo terreno di cultura per il razzismo. E un’immigrazione gestita male produce quegli elementi”.

Come si comporterà, invece, nei confronti della sinistra più radicale?
“Anche in questo caso applicando le leggi nazionali. Non do nessuna giustificazione all’antifascismo violento, in nome del quale abbiamo assistito alle violenze da parte dei black block durante il giorno di apertura dell’Expo. Sarò sempre in prima linea nel combattere ogni forma di violenza che possa giustificarsi nel nome di qualsiasi ideologia, anche dell’antifascismo. Ricordo che anni fa, quando in zona Certosa stava aprendo una sede di estrema destra che creava tensione in zona mi schierai contro la sua apertura. Una notte qualcuno ne incendiò la sede. Io allora reagii scrivendo una lettera che venne pubblicata dal Corriere nella quale dicevo: 'Più antifascisti di me non si può essere, ma io sono contrario a questi metodi. Gli estremismi non si combattono con le bombe, che creano martiri, ma con le idee che impediscono la crescita di questi movimenti'”.


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