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Riallineare subito i fusi orari di Ankara e Bruxelles - di David Sassoli dall'Huffington Post

18 Aprile 2015



La questione non è clericale. Non si tratta di formare l'esercito del papa e lanciarlo nei territori dell'Asia minore insanguinati dall'integralismo islamico, come qualche devoto non credente ha commentato. Come lo stesso Pontefice ha ricordato più volte, il clericalismo è una malattia della Chiesa. Le parole di Francesco sull'Armeniacontengono invece altre categorie e allo stesso tempo impongono alla politica altre valutazioni.

D'altronde, che altro avrebbe potuto dire incontrando la chiesa cristiana armena nell'anniversario del proprio olocausto? E come avrebbe potuto definire l'effetto dello sterminio e paragonarlo a quelli che hanno insanguinato il "secolo breve" e che oggi si verificano nei diversi continenti? Non è questione clericale, ma politica, come ha fatto capire molto bene la reazione del governo di Ankara. Reazione provocatoria, intimidatoria anche, alla vigilia di elezioni politiche in cui i partiti al governo sembrano voler raccogliere il consenso anche di quelle piazze animate dal sacro fuoco dell'identità etnica e non disposte a fare i conti con la propria storia cattiva. Perchè anche in quel paese, al pari di quella dei nostri paesi europei, la storia è stata cattiva davvero. È utile evocare oggi antiche identità evitando di chiamare con il proprio nome tratti di un passato che anche noi europei ben conosciamo? La responsabilità delle classi dirigenti e la loro capacità di visione sono messe alla prova.

Noi siamo fra coloro che ritengono che con la Turchia si debba collaborare molto di più. Non solo per convenienza - tratto non secondario nelle relazioni internazionali - ma perchè siamo convinti che i nostri legami siano profondi. E siamo fra coloro che hanno sempre incoraggiato la prosecuzione del processo di adesione all'Unione europea. Allo stesso modo, e con la stessa franchezza, riteniamo però inconcepibile posizionare le lancette della Turchia a simili fusi orari della storia. L'ambizione di una ritrovata e legittima "grandeur" non può consentire di premiare l'apologetica del negazionismo. Soltanto la ricerca di una acquisizione di consenso per il consenso può giustificare simili operazioni. E qui c'è un punto centrale della questione turca. Non sono le parole del papa a richiamarlo, ma il punto di vista europeo sui processi di adesione e sulle politiche di partenariato. Il tema è delicato. Come potremmo continuare a chiedere alla Serbia, paese il cui processo di adesione all'Unione europea è ben avanzato e ad un ottimo stadio, di arrivare al riconoscimento definitivo dell'indipendenza del Kosovo? Lo stesso vale nei rapporti economici con paesi africani e asiatici figli di regimi nati violando i diritti dell'uomo. Fare i conti con la propria storia non è mai un atto di debolezza.

Per l'Europa, come il Parlamento europeo ha indicato anche nella risoluzione sulla Turchia di questa settimana, è sempre possibile mettersi alle spalle il passato e con laicità avviarsi a compiere tratti di strada anche con coloro che la storia ha diviso e schierato su trincee diverse. Ma occorre volerlo. Abituati ai mea culpa c'è chi ha ricordato anche gli errori compiuti dagli europei nei confronti della Turchia. Errori politici gravi, certo. Molti lo avranno dimenticato, ma nella prima intervista ad un quotidiano italiano, il neo presidente Barack Obama, un anno dopo la sua prima elezione, si rivolgeva ai governi europei invitandoli "a non lasciare sola la Turchia". Le parole affidate al Corriere della Sera (a Paolo Valentini) nel luglio 2010 andrebbero rilette alla luce della situazione attuale.

Titolo in apertura di giornale: "Obama: la Turchia a pieno titolo in Europa". Parole inascoltate. Errori ne sono stati fatti e Germania e Francia ne portano grande responsabilità. La miopia dei governi europei, d'altronde, non ci ha protetto neppure dai malanni interni. Oggi, però, c'è qualcosa di nuovo nell'aria e sarebbe molto pericoloso sottovalutarlo. Abbiamo i riflettori puntati sulle minacce che arrivano dal medioriente e siamo da tempo concentrati sulla Grecia solo per le vicende economico-finanziarie. Nell'area del Bosforo, invece, risentimenti etnici e religiosi riprendono ad alimentare rancori mai sopiti e tensioni alimentate dall'insicurezza. In molti territori, il terrorismo provoca stragi, pogrom, panico e esodi. Un rafforzamento dei nazionalismi - greco, cipriota, turco per fare alcuni esempi in cui opzione politico-religiosa trova ambienti fertili - può aprire scenari inediti. Mettere in sicurezza la Grecia rapidamente, in questo momento, non è solo una giusta prova di solidarietà europea, ma una fondamentale opzione geopolitica; riallineare in fretta le lancette degli orologi di Ankara e Bruxelles è la misura per capire se le leadership turca ed europea sono capaci di scommettere con visione sul proprio futuro.



Leggi l'articolo sul sito dell'Huffington Post


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