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Il piano Juncker alla prova del lavoro che non c'è. No a tagli per infrastrutture e trasporti - di David Sassoli dall'Huffington Post

20 Marzo 2015



Con il regolamento per utilizzare il "piano Juncker" si entra a piè pari in un tecnicismo comunitario da capogiro. E trattandosi di un sofisticato meccanismo di attivazione di risorse che non ci sono, si apre davanti a noi quel mondo della burocrazia brussellese alquanto respingente per le opinioni pubbliche e il mondo dei media, ma che, sola, può garantire a 28 paesi il medesimo campo di gioco.

Premesso che stiamo parlando dell'unica scommessa di rilancio a portata di mano, frutto di un cambiamento di rotta rispetto alle politiche di solo rigore che hanno caratterizzato la Commissione Barroso per un decennio, alcuni aggiustamenti sono stati promossi dal Parlamento europeo per evitare una dispersione delle risorse che penalizzerebbe il rilancio degli investimenti e dell'occupazione. Tradotto per chi non mastica meccanismi comunitari, si tratta del regolamento per il Fondo per gli investimenti strategici (Feis) finanziato da Stati (Italia 8 miliardi), Banca europea per gli investimenti (5 miliardi + emissione di titoli per circa 63 miliardi) e dal trasferimento di risorse da due linee di bilancio ben collaudate quali Horizon 2020 (ricerca) e Cef (infrastrutture).

Denaro pubblico, insomma, da utilizzare - e qui i sofisticati meccanismi regolamentari - per far leva su risorse private che dovrebbero consentire, nello schema della Commissione europea, di attivare investimenti per 315 miliardi. Un obiettivo ambizioso, specie se si guarda la scarsa capacità attrattiva di alcuni grandi paesi europei. Nella filosofia del "piano", progetti e piattaforme dovranno essere promossi da soldi pubblici e privati. E qui nascono alcuni problemi.

Come utilizzare capitali privati in alcuni settori delle infrastrutture? Sul ferroviario, ad esempio, dove sono i privati disposti a parteciparvi? Il settore dei trasporti e infrastrutture è uno di quelli su cui far leva per attivare lavoro. Nel piano Obama del giugno 2014, ad esempio, su 300 miliardi di dollari ben 206 vennero destinati ad investimenti della rete autostradale e la sicurezza, 19 per progetti ferroviari e 72 per potenziare altri sistemi di transito. Il piano sui trasporti, secondo gli economisti del presidente Obama, è parte di una strategia che dovrebbe portare gli Usa a registrare la crescita maggiore dal 2005 con un aumento del Pil che dovrebbe salire del 3,1% dopo il +1,9% del 2013.

Nel piano Juncker, si sa, soldi freschi non ce ne sono e 16 miliardi su 23 arriveranno dal bilancio comunitario e andranno a smontare due programmi strategici e di successo. In particolare, il settore delle infrastrutture potrebbe rischiare di veder dirottate altrove risorse preziose per incapacità di legare l'iniziativa privata alle risorse pubbliche. Impoverire il Cef - Connecting Europe facility - e non avere meccanismi per garantire l'utilizzo di fondi destinati a un settore strategico per la ripresa potrebbe rivelarsi un colpo durissimo per le stesse finalità del Feis. Inoltre, il rischio di questa manovra è che questi soldi, entrando nel Feis rischierebbero di essere utilizzati da paesi che risultano più attrattivi per gli investimenti a scapito di altri che probabilmente avrebbero più necessità di nuove infrastrutture ma che a causa della crisi, si trovano in difficoltà ad investire ed accedere al credito. In questi giorni di frenetica attività parlamentare, ho presentato in Commissione trasporti alcuni emendamenti al regolamento del piano Juncker per consentire di destinare al settore almeno una parte delle risorse e garantirne le priorità originarie. Nel settore dei trasporti, in particolare, sarebbe utile introdurre una clausola per destinare almeno il 33% del totale degli investimenti previsti dal Feis a progetti tecnologici con valore aggiunto europeo secondo le priorità delle reti Ten-T.

Sarebbe un modo per evitare tagli a programmi di successo e impedire una dispersione di risorse che in questo momento sono utili allo sviluppo e all'occupazione.

Una sfida potrebbe riguardare il settore tecnologico del ferroviario per arrivare ad una compatibilità dei sistemi e avviarci ad una vera rete ferroviaria europea che è anche l'obiettivo del rapporto sull'apertura del mercato ferroviario e sulla concorrenza, di cui sono relatore, e che si trova ad una fase cruciale. Se la presidenza lettone dei trasporti riuscirà a portare a compimento i negoziati con Parlamento e la Commissione europea potremmo finalmente iniziare il trilogo tra le istituzioni e concludere questo grande progetto europeo. Una sfida strategica che vale la messa in sicurezza di almeno un quarto delle risorse che dal Cef saranno trasferite al piano Juncker.


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