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Lavoro l'Italia non vuole scommettere sul futuro - intervento di Matteo Puppi su Il Piccolo di Trieste

02 Novembre 2014

Il sindacato deve sapere che il modello proposto (già in vigore in tutta Europa) garantisce molte più tutele a molte più persone rispetto a quello di oggi



Il tasso di disoccupazione, dopo la rapida ascesa negli anni più intensi della crisi, si attesta ora al 12,6%, mentre i dati dell'ultimo mese ci segnalano una ripresa del tasso di occupazione (+0,6% su base annua). Da questo andamento già si intuisce che il mercato del lavoro dipende da molte e differenti variabili di cui la legislazione in materia di lavoro costituisce solo una di queste. A creare occupazione è un insieme di fattori infrastrutture, burocrazia, tasso di corruzione, costo dell'energia: non si capirebbero altrimenti le differenze impressionanti tra una regione ed un'altra.
Una riforma del lavoro è necessaria, certo, ma per migliorare la qualità dell'occupazione e ridurre le disuguaglianze. I dati che dobbiamo tenere a mente sono quelli della disoccupazione giovanile (42,9%), dell'occupazione femminile (46,7%) e delle tipologie contrattuali utilizzate (solo il 15% dei nuovi contratti è a tempo indeterminato).
Il Jobs Act in discussione alla Camera è proprio partendo da queste considerazioni, ed in particolare l'ultima, che ha previsto: l'estensione a tutti i lavoratori degli ammortizzatori sociali (cassa integrazione e ASpI), l'estensione a tutte le lavoratrici del diritto alla maternità retribuita, la creazione di un servizio pubblico per l'impiego unico e nazionale, la riduzione delle forme di lavoro con la cancellazione di quelle maggiormente precarizzanti e la creazione del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. Questo è il reale contenuto della legge delega. Questa è – citando la metafora – la Luna. L'articolo 18 è il dito.
Vengo per un istante alla lettera dell'amico Giovanni Barbo sulle due piazze di sabato 25. Lo scontro ideologico su questo articolo, che risale al 1970 quando nessuno avrebbe mai pensato l'ascesa della Cina e la crisi della Fiat, non è stato sicuramente montato dal Governo, che non ha alcun interesse a minare il percorso della riforma, ma – credo – è stato piuttosto pensato ad arte da quella parte sindacale consapevole che quello è un numero magico per riempire le piazze.
Al sindacato, a quel sindacato, dico che sarebbe una violenza all'onestà intellettuale di ciascuno di noi negare che il modello proposto – che è già in vigore con successo in tutti i paesi europei – è un sistema che garantisce molte più tutele a molte più persone di quante non ne siano assicurate oggi.
E' sul luogo delle tutele che sono in disaccordo con la piazza di Roma: credo che la rete di protezione sociale debba essere pubblica, debba stare nei servizi, e non privata a carico del singolo datore di lavoro, limitata a quel posto di lavoro.
Ancora una volta scopro, con rammarico, quanto l'Italia abbia paura di scommettere sulle riforme e sul futuro. «Cambiare una legge è facile, è cambiare la mentalità che è un casino pazzesco» ha detto giustamente il Ministro Poletti. Purtroppo inizio a pensare che non cambieremo mai.


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