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Non solo Pompei e Colosseo. Voglio l'Italia delle grandi bellezze - Intervista de La Stampa al ministro per i Beni Culturali Dario Franceschini

24 Agosto 2014

Abbiamo i borghi più antichi del mondo e percorsi religiosi da far invidia a Santiago di Compostela, ma nessuno lo sa. Ora si cambia. La sfida è valorizzare tutto.

di MATTIA FELTRI

Ministro Franceschini, qualche giorno fa era il bimillenario della morte di Augusto. La solita occasione sprecata, passata senza lasciare segno.  

«A inizio agosto il ministero ha presentato il programma che prevede convegni, restauri, iniziative serie. Ma mi rendo conto che il grande evento non c’è. Il grande evento si prepara strategicamente anni prima e noi paghiamo la discontinuità di governo. Negli ultimi tre anni e mezzo si sono alternati cinque ministri della Cultura: che si può programmare?». 

È anche un problema, appunto, culturale. Altrove si spettacolarizza un coccio, da noi è sacrilegio.  

«È il motivo per cui pensavo da tempo di fare il ministro di Cultura e turismo. Non sopporto l’idea per cui valorizzare il patrimonio significhi deturpare una certa sacralità. È una stupidaggine: valorizzare significa tutelare e tutelare significa valorizzare. E ho sempre sofferto per il rifiuto della politica di investire: non solo il precetto di Tremonti secondo cui con la cultura non si mangia, ma anche una evidente distrazione della sinistra». 

spesa culturaMatteo Renzi, alla Leopolda, disse che alla cultura bisogna dedicare l’1 per cento del Pil. Siamo allo 0.1...  

«Per la precisione, lo 0.11. Alla Leopolda è stata data un’indicazione di prospettiva, e io mi accontenterei se l’anno prossimo si raddoppiasse, che vorrebbe dire avvicinarsi allo 0.24 della Francia. Del resto il premier è stato sindaco di Firenze, e sa che significa investire in cultura». 

La sua proposta di illuminare Pompei di notte, va detto, è già un piccolo passo per uscire da una gestione polverosa e ottocentesca.  

«Adesso vediamo se l’Enel, a cui ho girato l’invito di occuparsene, è interessato. Il governo ha varato l’Art bonus che prevede un credito di imposta del 65 per cento per aziende o privati che investono mille euro o dieci milioni in un sito o in un museo. Però attenzione, Pompei è il grande sito, come il Colosseo, gli Uffizi, Venezia, su cui c’è senz’altro da lavorare, ma dobbiamo recuperare il patrimonio minore, sterminato e meraviglioso. Perché tutto il sud, con la Sicilia, Napoli, i bronzi di Riace, i Sassi di Matera, raccoglie soltanto il 15 per cento dei turisti che vengono in Italia?». 

Proposte?  

«A parte il discorso tutela-valorizzazione che poi vorrei approfondire, e a parte che serve una seria operazione di marketing all’estero, la grande sfida è valorizzare tutto. Faccio un esempio. Perché è celebre il percorso religioso di Santiago di Compostela e non i nostri, e sono i più antichi e suggestivi del mondo? Ad Assisi ci sono i Cammini di San Francesco, ancora tracciati da volontari sugli alberi: una follia. Cito ancora l’Art bonus che mette a disposizione i beni demaniali - fari, case cantoniere, stazioni abbandonate - ai giovani che vogliono avviare un’azienda: trattorie, bad and breakfast, noleggi di bici, tutto ciò che serve a riscoprire e rendere appetibili questi itinerari archeologici, equestri, ciclistici. Cercheremo di favorire gli hotel diffusi, cioè i borghi abbandonati - e sono centinaia - che vengono ristrutturati: invece della stanza ti danno una casa. Sono di una bellezza stupefacente. È la nostra specificità, mica ci servono gli alberghi tutti uguali che le grandi catene costruiscono a Singapore o New York. Insisto: tutelare la bellezza italiana, in cui beni culturali e paesaggio sono inscindibili, significa produrre ricchezza e crescita». 

A parte i dettagli, sono discorsi che sentiamo da qualche decennio.  

«Non sto parlando solo di progetti, sto elencando cose fatte. E poi questo governo è nato per durare: ci sarà tempo per valutare il mio lavoro, che ha l’idea centrale di puntare su un turismo di qualità. Un paese per viaggiatori, non per orde di turisti mordi e fuggi. E nel mondo globale puntare alla qualità porterà grandi numeri, come e successo per il vino italiano: quando aveva cercato la via della sola quantità era finito nello scandalo della sofisticazione che portò a un crollo di credibilità e vendite. Dopo quello shock si è scelta la via dell’eccellenza e oggi i vini italiani vendono in tutto il mondo. Nei giorni scorsi sono stato a Usini, nella provincia di Sassari, dove si produce in piccole quantità un vino spettacolare, il Cagnulari, che potrebbe essere venduto in tutto il mondo. Ecco l’Italia vincente sarà fatta di tanti Cagnulari». 

Ottimo, ma intanto se uno va al Palatino trova poco più che un prato: nessun pannello esplicativo, nessuna ricostruzione, nessuna iniziativa.  

«Esatto. E io voglio fare un’operazione di fondo: oggi i musei dello Stato sono guidati da soprintendenti che si occupano di tutela e di valorizzazione. Sempre nell’Art bonus è previsto che possano essere nominate alla guida dei grandi musei persone esterne alla pubblica amministrazione. Come all’Egizio di Torino, dove il nuovo direttore è Christian Greco, un giovane di 34 anni con grandi idee che ha lavorato in tutto il mondo e ha collaborato col Louvre e i Vaticani». 

Cioè, finalmente l’idea che la cultura si debba mantenere?  

«Attenzione, nessun museo al mondo si mantiene coi biglietti. Ma è l’indotto che si sviluppa attorno a cambiare le cose: crea posti di lavoro e ricchezza. Però anche qui ci stiamo muovendo: tutto quello che incassano i musei va in un calderone unico del ministero. Noi ora restituiamo ai musei, lo stiamo già facendo, il corrispettivo dei biglietti che staccano. Se stacchi cinquemila biglietti prendi soldi per cinquemila, se ne stacchi cinquantamila prendi il decuplo, fermo restando una base fissa. E se qualcuno parla di mercificazione mi arrabbio». 

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