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Telemaco non era giovane - di Alessio Pecoraro

13 Marzo 2019

Basta con la retorica dei giovani. Ma chi sono veramente i giovani? Viviamo un tempo in cui molti quarantenni fanno di tutto per apparire trentenni e i sessantenni per apparire quarantenni.

Alle ultime elezioni politiche (4 marzo 2018) il Partito Democratico, tra i cosiddetti giovani, raccoglie il suo massimo consenso nella fascia di età compresa tra i 18-24 (15,4%, dati YouTrend), perdendo via via consenso in quelle 25-34 e 35-44 nelle quali ha raccolto meno consenso della moribonda Forza Italia.

È ovvio che il malessere dei trenta-quarantenni italiani doveva trasformarsi, oltre che in abitudini di consumo più egoiste (non a caso il prefisso “I” davanti ai prodotti Apple, tra i più premiati dal mercato nell'ultimo decennio, indica la parola “individual”), anche in un sussulto politico. Le elezioni politiche del 4 marzo 2018 hanno certificato, tra le varie cose, un’altra anomalia italiana: se in Inghilterra i giovani votano per Corbyn (e per il Remain in materia di Brexit), in Francia per Macron (o Mélenchon) e negli Stati Uniti scelgono Bill Sanders o nuove leader come la Ocasio-Cortez, gli under 40 italiani hanno votato in massa per un partito nato meno di dieci anni fa, dalla oscura democrazia interna, una classe dirigente quantomeno improvvisata e un’ideologia che sembra “un’accozzaglia di meme arrabbiati” (bunch of angry memes). Nel mentre, i pensionati sono l’unico segmento demografico in cui il Partito Democratico ha trovato una maggioranza di voti relativa


È innegabile che la domanda di cambiamento della generazione perduta sia passata, a questo giro, per un partito, il Movimento5Stelle, con clausole inquietanti, pieno di gente inesperta e ricco di contraddizioni.

È questa la prima domanda alla quale occorre provare a dare una risposta, prima ancora del dibattito, giornalisticamente appassionante, sulle alleanze.

La generazione sotto scacco quindi è quella dei 30-40enni, è su questi che ci vogliono cure specifiche da parte della politica. Un Partito Democratico che raccoglie e prova a vincere la sfida del futuro non può prescindere dall’affrontare la “questione 30-40” perché questa generazione si è persa non per via di qualche guerra o rivoluzione epocale, ma a causa del susseguirsi di decisioni sbagliate da parte dei suoi nonni e dei suoi padri.

Occorre mettere in campo un’operazione coraggiosa, cercando di non cadere nella tentazione di piegare la politica alle logiche di marketing.


Nella logica dei consumi la categoria dei “clienti giovani” è in continua espansione. Come è importante che un’attività commerciale innovi continuamente prodotti e vetrine, per non restare indietro rispetto alla concorrenza, così anche in una politica post-ideologica l’affermazione del valore assoluto del cambiamento può essere un buon veicolo  per la conquista del potere.


Come ha scritto il politologo Giovanni Sartori il giovanilismo però non è un bene durevole. È così per forza, perché i giovani diventano vecchi. Ma è anche bene che sia così. I giovani apportano un elemento — l’energia — che gli anziani non hanno più, mentre gli anziani apportano l’elemento che i giovani ancora non hanno, e cioè esperienza e conoscenze. Insomma, gioventù è energia senza sapere, anzianità è sapere senza energia. Le civiltà decadono per senescenza e quando diventano gerontocrazia. Però, nessuna civiltà è mai emersa da una paidocrazia, dal potere dei giovani.

C’è bisogno invece di innescare un processo di continuità, non di rottura, tra le generazioni, un processo in cui giovani, meno giovani e vecchi sappiano ritrovare ciascuno il proprio ruolo, all’interno di un soggetto politico collettivo. Perché senza un soggetto politico collettivo, le grandi riforme sistemiche di cui tutti abbiamo urgente bisogno non potranno essere portate a compimento come abbiamo visto.

Non c’è bisogno solo dei giovanissimi, di quelle ragazze e di quei ragazzi che nel bene e nel male hanno sempre frequentato il partito. Non c’è bisogno solo di facce fresche (e nuove) e di stories su Instagram, ma anche - e soprattutto - di aprire un dialogo vero e costruttivo con quella generazione - che in Italia a torto chiamiamo ancora giovane - di 30-40enni che vive il mondo del lavoro, la genitorialità, la ricerca di una casa, l’accesso al mondo del credito e via dicendo.

Siamo diventati adulti aspettando nostro padre guardando il mare, così come Telemaco aspettava Ulisse. Telemaco come scrive Massimo Recalcati rappresenta il modo giusto di ereditare, perché non indica cosa ereditare. Il figlio del re di Itaca indica la nuova direzione verso cui guardare, una direzione alla quale dobbiamo essere capaci di guardare insieme.

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